Dalla prefazione di Silvio Bordoni
Ho letto più volte questa nuova raccolta di poesie dal titolo emblematico "Circuito intimo" di Fulvio Castellani, riscontrando con piacevolezza e senso critico come per lui l'infanzia della memoria - carica e matura di un vissuto - non sia solo una goccia di refrigerio che plachi la sua arsura interiore, ma sia la riscoperta e il rinnovarsi di un "linguaggio". È, la sua, una ricerca che rende legittimità alla poesia, attingendo dall'archivio antropologico e culturale di una storia personale e di quella di una comunità adiacente, assegnando, nel contempo, alla parola poetica il suo alto valore di "continuità” e di modernità.
Quando Leopardi canta la sua "Silvia" non compie solo un salto nel passato ma sancisce un disagio, una frattura nei confronti del suo tempo. C'è quindi in Castellani un bisogno viscerale di rincorrere e reinterpretare la propria esistenza: bisogno che potremmo identificare come il "canto d'emergenza dei pensieri nato da un sentimento" che il grande poeta Paul Celan assegna alla poesia.
Di seguito un esempio significativo: "Non dò tregua al canto / al cauto ascoltare voci assenti / insonni riverberi di luce / ... E mi risveglio nudo / come la prima volta / ... con il furore di chi scopre /nuove speranze".
Sono versi bellissimi, dove certe immagini quasi surreali colgono l'uomo/poeta in un intimo colloquio con se stesso e con il rifarsi della storia. Come non mai, in quest'ultima raccolta di Castellani, la poesia costituisce l'anagrafe di un'esistenza, i cui dati sono rilevabili non solo nella memoria di un luogo e di un tempo ma anche nel concorso costante e suggestivo di temi e di elementi che interferiscono in modo determinante con la centralità del soggetto poetante, in un dialogo lirico a più voci: "Chiederò al vento / la voce antica delle strade / il mormorio silente dell'erba / le parole del paese che non c'è più”.
La natura, per esempio, è per il poeta elemento fondamentale: la natura nel suo rifarsi, nel suo riscrivere di volta in volta la parola dell'uomo - il suo passato, il suo presente - tanto che per Castellani la poesia del vissuto fa da spartiacque fra la meraviglia e il disvelamento della natura e l'inizio di qualcosa che è solo già apparentemente compiuto. Versi come quelli che seguono hanno il sapore e il calore dell'incanto: di una presenza assidua che ha forza e grazia di "inventare" la vita alle cose. Di sancire una comunione tra uomo e creato: "Cantano d'inverno le persiane / le finestre accese dal vento / dallo stupore assordante / del cielo che gode / al bacio improvviso del sole".
Temi come l'amore, l'indifferenza, la solitudine, la morte si alternano e in essi l'attualità non è solo elemento sperimentale, bensì un "circuito intimo" (vedi il titolo della raccolta) dove la realtà, il sogno, la parola nuova, si esplicitano come stato d'animo, atmosfere dell'attesa, premonizione.
C'è uno splendido passaggio sulla "morte", dove il poeta, pur esprimendo un apparente dubbio circa il suo aderirvi, offre un impagabile esempio di lirismo: "Che la morte sia un ritrovarsi / lo sanno i cipressi in fila / che spiano leggeri le croci / arrugginite. / Lo sanno i sassi bianchi / delle tombe amate / allineate in fretta / dall'ansia del domani. / Io no...". Ci sono momenti di solitudine - come è giusto che sia e come il mondo personale e "l'altro esterno" si offrono alla sensibilità del poeta - in cui la poesia pare manifestare il suo "piccolo morire" - quale creatura viva e consapevole - come è in quel "povero fanciullo / drogato e solo...".
Nulla, infatti, meglio della poesia sa correlare l'esperienza della vita, il suo rituale scenico, con la necessità di un sentimento uguale e contrario che muova a un respiro condiviso, a una socialità aperta. Persino la natura (ancora la natura) si offre nel cogliere il grido del "povero fanciullo drogato".
Si offre con la sua immancabile funzione rigeneratrice: "... È per questo che un ciuffo d'erba / si cela quasi al gioco / di radi fiocchi di neve / per guardare oltre il prato / che si rinnova?".
Ma al di là di una solitudine sociale, verso la quale la poesia (soprattutto contemporanea) si sente attratta, fa capolino nei versi di Castellani anche il tempo dell'amore, come lievito festoso della parola in cui a un certo rimpianto ("Non c'è più l'amore, il caldo / abbraccio dell'attesa, l'angolo / azzurro dei primi anni...") si congiunge lo stupore di un destino che non si sottrae al processo emotivo, all'impulso mai sopito del tempo: "Ma se mi tieni per mano / e mi svegli con un sorriso / lo specchio del giorno nuovo / ha bagliori d'amore, ancora / riflette rapite trasparenze / il rosso dei papaveri / nei prati in fiore".
Altro ci sarebbe da dire su questa delicata e penetrante raccolta poetica - a cui auguro la migliore delle diffusioni - ma chiudo le mie osservazioni ponendo l'accento sulla autenticità dell'ispirazione che accompagna per intero la riflessione esistenziale del poeta e il suo dischiudersi nella profondità salvifica della parola.
Si sente insomma – qui – il "dover essere" della poesia (come annota il poeta e critico letterario Alberto Bertoni nel suo saggio "La poesia – come si legge e come si scrive") tutta protesa a "un'intensità” che trascende la referenzialità grigia della parola informatica e distratta del nostro presente.