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Il mio tempo

di Izzi Rufo Antonia

Anno: 2021

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Piove da più giorni. Il cielo è grigio. Fa molto freddo. Il sole non si fa vivo, s’è nascosto dietro le nuvole: quando tornerà a scaldarci? Lo stiamo aspettando con ansia. Sono triste e ansiosa, il mio viso è serio, lo sguardo è pensoso. Osservo il tempo, e l’esterno, dai vetri delle finestre: deserta è la strada. I ragazzi sono a scuola, gli adulti che non lavorano sono in casa e s’annoiano come me. Ho rimesso in ordine l’ambiente domestico, ho programmato il pranzo: che faccio ora? Mi metto a scrivere, ma che cosa? Non ho idee, la mia testa è vuota. Ci provo, ugualmente. Ed eccomi qui. Ho deciso: scriverò di me, della mia vita, a cominciare dalla mia infanzia lontana, molto lontana. Per me, comunque, è come se fosse recente; di essa, infatti, ricordo tutto, anche i particolari insignificanti....Bambina di quattro-cinque anni, già autonoma, uscivo di casa, al mattino, e andavo in strada per vedere se c’erano ragazzini con cui giocare. Mio padre era già in bottega e programmava il lavoro per la giornata; mia madre s’era recata alla fontana, aveva posato la tina, colma d’acqua fresca, in cucina, e si dava da fare per rimettere in ordine le camere. Il paese, muto durante la notte, s’era svegliato e si riempiva, a poco a poco, delle voci degli abitanti e degli animali. Se il tempo era bello, i bambini, che non andavano ancora a scuola (gli asili non erano stati istituiti, almeno nei piccoli borghi), giocavano in strada, da soli. Essi, sebbene ancora piccoli, erano indipendenti. Lungo le strade non circolavano macchine (ce n’erano soltanto due o tre in paese). Le mamme, pertanto, potevano dedicarsi ai lavori domestici, che richiedevano di essere svolti soprattutto al mattino, e dopo potevano recarsi, per qualche ora, nei boschetti vicini a racimolare fascetti per accendere il fuoco e pensare, subito dopo, al pranzo del giorno.