Indietro

Il singolare di noi

di Atz Virgilio

Anno: 2025
ISBN: 978-88-6932-327-0
Prezzo: 12.00 €

image

Dalla postfazione di Irene Piras:

Lirica, votata al culto della rima, della bellezza del suono, della parola che, facendo giri su sé stessa, prima di raccontare sembra mostrare… guardandola con l’aria distratta di un amante stanco e sazio, la poesia potrebbe erroneamente apparire una melodia distante dal reale, dal sociale, con il suo afflato che tende verso l’alto in una fame di trascendenza. E del resto, lo sappiamo, non sono mancati movimenti, correnti e stili più intimistici e crepuscolari, pregni “solo” di quella malinconia borgesiana «di non aver nulla da dire e da fare». Ma è all’interno del suo nome, nello svelarsi del suo senso, che la Poesia si presenta e dichiara chi è. Poesia, dal greco antico ποιεῖν (poieîn), ovvero: fare, produrre, creare. Azione estetica che, nel farsi, appunto, diventa viva, pragmatica, e risuona nelle (e per le) coscienze. E, sebbene qui il nostro autore non si definisca «“poeta” / Per sacro rispetto della Poesia)», per sacro rispetto della Poesia, invece, noi non possiamo che definirlo tale. 

Mai come in questa ultima raccolta di Atz, infatti, vengono fuori, sviscerate, le disparità, le mancanze, le fratture di un contemporaneo in frantumi. La voce che dà loro voce è una penna potente e coraggiosa, limpida nella sua durezza, onesta nella sua ironia («ché la vita […] è un’ironia che va presa sul serio»), indimenticabile nel suo essere a tratti satirica e perturbante. 

Una rabbia antica con echi sessantottini torna a ribellarsi nelle maglie lise di una Storia che non ha saputo imparare dai suoi errori, figlia di un tempo in cui aumenta tutto – le discriminazioni, i soprusi, le distanze, l’inquinamento, la perdita del Sé, le guerre – ma che in quell’inflazione galoppante vede diminuire l’umanità, «dove anche il senso […] è colato, come in un cesso». Il pianto dell’umano, se solo l’uomo sapesse ancora piangere, visto che soccombe sotto la morsa dell’apparenza. Il suo testamento, «perché la messa in moto dell’industria della Storia / a parte i resti (di memoria) ha dei costi...». Ecco allora il racconto di quel fare, la creazione artistica intrinseca all’etimologia poetica: Il singolare di noi non permette solo che lo si legga, perché la lettura diventa un dialogo, e poi un richiamo a tutto quel “fuori” che ci abita dentro, e che per ognuno di noi sarà comprensibilmente diverso (e in un tempo omologato e artificiale, il bello non è forse questo?). 

Una lettura che diventa attiva, partecipe, in grado di instaurare connessioni, legami. 

Così, mentre scrivo questa postfazione e ascolto Fiume Sand Creek di De André, mi tornano alla mente John Lennon e Yoko Ono e quel grido sacro del All we are saying is give peace a chance, dato che «sotto una coperta scura» continuano purtroppo a essere nascosti altri cuori; e se «il Giordano vale il Sand Creek», anche noi dovremmo ancora solo voler dire: «date una possibilità alla pace». 

Così, mentre scrivo questa postfazione e ascolto Fiume Sand Creek di De André e mi tornano alla mente John Lennon e Yoko Ono e quel grido sacro del All we are saying is give peace a chance, vedo anche Pasolini, sorridente ed elegante in una foto sulla spiaggia. E quell’immagine, in un gioco di rimandi stile Fiera dell’Est e matrioske, mi riporta a una lettera che nel 1967 PPP indirizzò ad Allen Ginsberg, lettera che a sua volta si riaggancia al J’accuse che Atz riserva a un Occidente, «impotente e accondiscendente», schiavo del potere.

Come scriveva quel “ragazzo di vita”: 

Chi ha fornito a noi – anziani e ragazzi – il linguaggio ufficiale della protesta? Il marxismo, la cui unica vena poetica è il ricordo della Resistenza, che si rinnovella al pensiero del Vietnam e della Bolivia. E perché mi lamento di questo linguaggio ufficiale della protesta che la classe operaia attraverso i suoi ideologi (borghesi) mi fornisce? Perché è un linguaggio che non prescinde mai dall’idea del potere, ed è quindi sempre pratica e razionale. Ma la Pratica e la Ragione non sono le stesse divinità che hanno reso PAZZI e IDIOTI i nostri padri borghesi?

Chi altro può definirsi poeta, quindi, se non chi riesce a scatenare, con i suoi componimenti, una così ricca gamma di associazioni disparate? 

La risposta la rimando al lettore.