Calcagno Carlo Alberto:
ad Arenzano il 22/08/63. |
Con Carta e Penna ha pubblicato:
LA MIA BOTTIGLIA |
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![]() Carlo Alberto Calcagno vive ad Arenzano dove è nato il 22 agosto 1963 e svolge l'attività forense in qualità di avvocato in Liguria. Fin dai primi anni di vita manifesta un interesse spiccato per i libri e la letteratura. A soli diciotto anni vince in campo poetico il suo primo premio letterario internazionale (Premio Internazionale "Antenna Blu Microfono d'Oro" di Genova). Nel 1990 due sue liriche ("Preghiamo insieme" e "S'accende") vengono incise da Giorgio Strehler (per l'ascolto v. il sito www.italiangallery.net) . È curatore dal 2003 di brevi saggi di storia della letteratura per una rivista letteraria a diffusione nazionale (www.ilsalottodegliautori.it) edita dall'Associazione Carta e Penna da cui è stato anche premiato come miglior articolista. Il 25 novembre 2005 la sua pièce "L'Eremita" è entrata come finalista nella sezione dedicata alla drammaturgia del Premio "Elsa Morante" di Roma.
Questa sua prima silloge poetica raccoglie liriche composte tra il 1997 ed il 2005 e, per volontà dell'autore, tutti i proventi ricavati dalla distribuzione del libro saranno destinati all' Associazione Prader Willi, malattia genetica rara che colpisce un nato ogni 15.000 causando ipotonia, appetito insaziabile, obesità, ritardo mentale, ritardo funzionale, bassa statura negli adulti e problemi comportamentali, legati alla mancanza del senso di sazietà. Questo è uno dei problemi maggiori: il paziente, essendo privo del senso di sazietà, a causa di un'anomalia nel centro che controlla questo stimolo nel cervello, ha un appetito inestinguibile; allo stesso tempo la malattia causa una disfunzione nel metabolismo che riduce notevolmente la capacità dell'organismo di bruciare le calorie assunte. La diagnosi precoce è di primaria importanza in quanto dà la possibilità di intervenire con farmaci e cure affinché, sin dai primi mesi, si possa migliorare la qualità della vita del bimbo e della famiglia.
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UN GIARDINO PERFETTO |
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![]() Carlo Alberto Calcagno è nato ad Arenzano nel 1963 ed ha iniziato a fare poesia da giovanissimo. Dopo aver praticato l’insegnamento al liceo classico ha intrapreso la via dell’avvocatura e oggi si occupa prevalentemente di mediazione, ma il suo grande amore è da sempre la letteratura. |
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LA CONDIZIONE DEGLI EBREI DAI CESARI AI SAVOIA |
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![]() La condizione degli Ebrei nei millenni ha messo duramente in crisi il concetto stesso di diritto naturale, quelle guarentigie minime che gli antichi ritenevano presenti presso tutte le genti, e ciò perché ci furono forse ben pochi popoli che nella storia ne subirono così fortemente il disconoscimento.
“I paria delle Indie, gli schiavi dell’Oriente e di Roma, gli Iloti di Sparta (che erano privi dei diritti civili e politici e potevano essere uccisi impunemente) sono i tipi soli che possiamo qui mentovare onde farci un’idea del modo in cui vivevano gli Ebrei fra le nazioni cristiane; formando casta a parte da chi potevano aspettare protezione e giustizia? dalle loro universalità? Dalle nazioni che li ricettavano nel loro territorio e li ritenevano in condizione affatto precaria? Con ragione disse il Forti che il mancar di fede degli Ebrei non parve ai principi cosa riprovevole, il mancare ai medesimi di umanità non parve ai popoli contrario alla legge di Dio”. Lo stesso Mosè del resto aveva anticipato agli Israeliti un particolare destino: “Il Signore vi disperderà fra i popoli e non resterete che un piccolo numero fra le nazioni dove il Signore vi condurrà”. Il Corano nella VII sura (Al-A‘râf) rievoca con queste parole un triste percorso: “167. E il tuo Signore annunciò che avrebbe inviato contro di loro qualcuno che li avrebbe duramente castigati fino al Giorno della Resurrezione! In verità il tuo Signore è sollecito nel castigo, ma è anche perdonatore, misericordioso” “168. Li dividemmo sulla terra in comunità diverse. Tra loro ci sono genti del bene e altre [che non lo sono]. Li mettemmo alla prova con prosperità ed avversità, affinché ritornassero [sulla retta via]”. Nel breve saggio che seguirà ove cercheremo di descrivere somma-riamente le loro traversie, useremo diversi vocaboli per indicare gli appartenenti al popolo di Abramo. Avvertiamo però che a rigore i vocaboli non sono del tutto fungibili. Secondo una prima interpretazione, infatti, il termine Eber o Heber venne dato dai Cananei ad Abramo perché giungeva dalla Caldea che si trova al di là del fiume Eufrate. Secondo gli Orientali invece la parola Ebreo deriverebbe da Heber figlio di Sale e trisavolo di Abramo. Il lemma Israeliti indica i discendenti di Israel ovvero Giacobbe, nato da Isacco figlio di Abramo. La parola Israel significa in ebraico “che prevale o che domina con Dio”; un angelo soprannominò così Giacobbe dopo che ebbe compiuto una lotta durante una visione a Macanàim ribattezzata da lui Penuél. Gli Ebrei amano in particolare chiamarsi israeliti perché è un termine che si ritrova nelle Sacre scritture. Il termine Israele talvolta indica tutto il popolo, talaltra la sola discendenza di Giacobbe e ancora il regno di Israele e delle dieci tribù distinte dal regno di Giuda (che ricomprendeva appunto la tribù di Giuda e di Beniamino). Con il vocabolo Giudei si fa riferimento poi a coloro che fecero ritorno a Gerusalemme dalla cattività babilonese: dal momento che non esisteva più il regno di Israele, gli Ebrei assunsero il nome dell’unico regno ancora in piedi che era appunto quello di Giuda. |
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LA CONFESSIONE - DRAMMA IN QUATTRO ATTI |
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![]() ATTO PRIMOScena unica In una semplice chiesetta della campagna francese nei pressi dell’abbazia di Cluny. Un confessore |
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SONO ANCORA VIVO |
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![]() Dalla prefazione di Mario Bello: È un percorso poetico, quello dell’Autore Calcagno, molto personale e a un tempo interessante, in quanto il suo sentiero ha i passi dell’io, tra ombre e amore, oscurità e speranze, presente e passato,... alla ricerca di un ‘chi sono’ (che è un ‘chi siamo’, in una sorta di ‘io collettivo’), che è la costante dell’uomo quando si guarda, si osserva, si interroga, e in quell’accorato ‘sono ancora vivo’ del titolo dato alla silloge, il poeta in definitiva ricerca se stesso, per dare spessore e colore alle sue ansie e inquietudini, come ai suoi sentimenti ed emozioni. Se la sua vita, come gli appare, è “un cumulo di polvere/su cose fuori posto”, con riguardo all’io, che è poi l’uomo visto nella sua contemporaneità e al pianeta nel suo dissesto, il riferimento costante a se stesso – in un plurale maiestatis che connota l’intera umanità – porta il poeta a considerare l’io-noi, malinconicamente, come fiori che “ridono/al vento/ignari/del loro/colore”. In questo spazio lirico e filone di pensiero si collocano molti componimenti poetici, i cui “fiori sfiorati dalla meraviglia” possono riconoscersi, specie nei tanti momenti di solitudine in cui si avverte il bisogno di essere abbracciati, compresi, mentre “rimangono solo/ le parole inutili /... / ... seminate/ ancora nel giardino”. Metafore e versi si avvolgono di uno stesso tessuto e il poeta - come ognuno di noi nel nostro vivere quotidiano - va alla ricerca senza riuscirci di svincolarsi dai lacci e lacciuoli che frenano l’umana esistenza, e suggestiva in questo senso si rivela proprio la metafora in Bachi di seta, che esprime l’incapacità di uscire dalla rete di seta, salvo poi ad adagiarsi e trovare la serenità - un sogno – restando “chiuso nel bozzolo”, ricordando forse il grembo materno. L’io comune dell’Autore, che si riflette nello specchio della società, è presente in ogni suo componimento e nell’espressione dei suoi stati d’animo. D’altra parte, come non pensare alla vita nelle lunghe ore notturne, che il poeta come i più dedicano “a esistere più che a essere/ a fare piccole cose semplici” (in Notte); o non capire, come il Calcagno fa, che è meglio a volte il dover lasciare “libero/di andare il futuro”, quando è distante e non può appartenerci, o perché la realtà fattuale ce lo impedisce. Così lo si avverte nel lirismo dei suoi versi, con le sue precarietà – non trovando strade e direzioni da seguire – nell’attesa di “un futuro invisibile/ che è già passato”, scavando nel dramma esistenziale, e che si chiede alla fine: “Che cosa rimane?”, ritrovandolo abbandonato alle sue malinconie nell’abbandono di un amore, allorché “sboccia l’assenza/ raccolgo i ricordi/ in una scatola/ senza confini”. Rispetto alla tristezza esistenziale, numerosi sono i momenti lirici, quasi una voce che si alimenta dall’interno dell’anima, in cui si annidano le speranze, che compaiono improvvise (come in Nuvole), o da “mordere in fretta” (come in Argo), o i sogni, spesso generosi, come i pescatori che vanno a tingere “le reti sudate”. Le emozioni del poeta si tingono di colori – e, non può essere diversamente – e li troviamo blu tra le note musicali, che risuonano di verde e di giallo, imparando dai fiori il ritmo del vento; o assumono l’aspetto del ‘rosso tigrato’ di un gatto, la cui vita passa inosservata, ma “servita ad affilare/ le unghie, e insegnarmi/ paziente che il cibo è una lotta”. È una poesia asciutta, scarna di punteggiatura e di altri orpelli, che sa essere essenziale nella maturità dell’Autore, senza alcuna influenza letteraria di tipo ermetico o di carattere simbolico, e che – usando un’altra metafora del poeta – si comprime in un ‘file’, quello della sua vita “per scoprire quanto/ era utile ch’io fossi”, per comprendere “il limite dell’esistenza/ non la qualità né il bene né/ il male che mi compongono”, concludendo con una visione trascendentale: “Solo Dio conosce il programma/ per pesare ogni battito di ciglia”. Questo è Calcagno nella sua opera, un poeta che scava con versi e parole semplici, e con un significato profondo, tra le contraddizioni del vivere quotidiano e in cui il suo io (da tramutare in un noi collettivo), va alla ricerca di una pace, che trova allo sfiorire della luce della sera, al tacere delle rose e del gelsomino, misurando “il cielo infinito/ tra i tetti invisibili”. |
Per i lettori di Carta e Penna ha scelto:
STUPORE |
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Come un ladro
stringo
i tuoi occhi
imbevuti di silenzio
dentro ai miei
e l'eros oscilla
tra bellezza
e verità. |
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ALMENO TU |
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Almeno tu
possiedi il litorale
ed il picchiettio
della pioggia.
Io soltanto
questo respiro
raggomitolato nella tiepida assenza |
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L'ORIZZONTE |
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Spalanco
l'orizzonte
se mi chiedi
di confrontarti
con il cielo. |
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UN SOGNO FINITO |
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La melodia
si è spezzata
ed il pifferaio
non è più magico
o forse tu
non sei mai stata
un topo
ma solo una passante
distratta da un attimo
di nostalgia.
A dire il vero
i topi
sono tutti morti
come vuole la fiaba
e pure l'esecutore
li ha seguiti
ipnotizzato
dal suo inganno.
Tu cammini
lontana
nella città
ormai deserta
e la natura
compone sola per te
note infinite. |
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AMORE MIO |
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Se questa tastiera
si tramutasse
in una bacchetta magica,
tu saresti oro
amore mio
e le mie parole
vile metallo
che un alchimista
potrebbe trasfigurare.
Ma un sogno
chiude
i miei occhi ed anche i tuoi,
il buio comune
dura un istante e vola via
verso una luce
che non posso contenere,
né fissare troppo a lungo…
arriva al cervello
il suo profumo
dalle radici increspate
della tua anima.
Vorrei baciarle
fino all'apice
per mordere
il fascino…
più facile
sarebbe contare uno ad uno
i tuoi capelli
che mi attirano da lontano:
tendere una mano
è lo scopo
di ogni giorno
in cerca di te.
Sei bosco magico
che ride
del mio cavallo imbizzarrito
e smarrito,
sei radura insidiosa
dai verdi brillanti,
di muschio bagnato e compatto
che mi circonda a dismisura,
sei il movimento della luna
che ondeggia lenta
tra le stagioni,
sei il mare
che è sempre azzurro
quando si screzia di blu,
sei un mi bemolle
che si allunga all'infinito
sul distorsore della vita,
sei la felicità
del sole
che invita
l'alba
a cambiare colore,
sei l'alba
che cattura
ed invita
a sperare
in un nuovo sole,
sei il mio passo
che si fa
più frettoloso
per attenderti ancora,
sei la gioia
di ogni frase
che mi accende,
arpeggio e melodia,
sei un angelo
adorabile
che brucia le ali
in un filtro,
tra le tue labbra
come vorrei
essere
quel filtro,
sei la fronte
corrucciata
di una farfalla
senza identità,
leggera ape laboriosa
rimasta a pensare
sullo stesso fiore
che si consuma,
sei il corpo
della terra:
friabili i capezzoli
si raggrumano
verso il cielo.
Ed io li accarezzo
con l'impazienza
tremante
di un vasaio
innamorato
dell'umida
creta.
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TI AMO |
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Anche
se un giorno
cambiassero
le parole
per dirtelo
perché tanto
non ci sono parole
che possano
raccontarti
quel che sento
non ci sono parole
che possano
condensare
le attese
ed i respiri
affannosi
non ci sono parole
che possano
entrare
dentro te
ora che fuggi
impaurita
e sfiduciata.
Ti amo
anche
quando ti vedo
ingannata
dalla lontananza
in cui
la vita
ci vorrebbe
rinchiudere
invidiosa
di ciò
che potremmo
costruire.
Ti amo
ora che ti manco
lo so
fino a volermi
cancellare
ora che ti manco
lo so
fino ad impazzire
o piuttosto a ragionare.
Ti amo
ora che vuoi
lasciare
morire
la speranza
che mi ha donato
una nuova vita.
Ti custodirò
nel profondo
di quanto
è profondo
il dolore
perché quel luogo
è incolmabile
e solo
può contenerti
e contenere
il mio amore
per te
cosi' esclusivo
da farmi sognare
unico al mondo
a possederti. |