Sia Graziano:
è nato l'otto settembre 1948 a Satriano (CZ) è sposato, ha tre figli ed una nipotina. |
Con Carta e Penna ha pubblicato:
NOSTALGIE, PASSIONI, SOGNI |
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Graziano Sia è nato l'otto settembre 1948 a Satriano (CZ) è sposato, ha tre figli ed una nipotina. Figlio e nipote d'emigranti oltreoceano, iniziò a lavorare in tenera età facendo il garzone agricolo e nell'edilizia.
Nel marzo 1966 emigrò in Svizzera, dove risiede, e per circa trent'anni svolse il lavoro di minatore edile. Costretto a cambiare attività a causa degli strapazzi lavorativi, da dieci anni lavora come stalliere. Ha così trovato il tempo di dedicarsi alla poesia, una grande passione esercitata solo sui banchi della scuola elementare, quando grande era la sua dedizione allo svolgimento del tema in classe.
Numerosi riconoscimenti, dopo diversi piazzamenti al secondo e terzo posto e più volte il primo premio speciale estero, nel 2005 vince il primo premio al quinto concorso internazionale Poeti nella Società a Lugano, sempre lo stesso anno risulta vincitore assoluto del Premio Atheste a Este (PD). Nel luglio 2003 pubblica il suo primo volume Poesie d'un emigrante, Edizioni Tigullio Bacherontius, Santa Margherita Ligure. Nel giugno 2005 esce il secondo volume, Valigie di cartone da Carello Editore (CZ), premiato al secondo posto ben quattro volte. Nel maggio 2007 ha ricevuto il premio speciale "Pro Senectute" nell'ambito del concorso di poesia Stella Norbiato - Città di Spinea. Presente in diverse antologie letterarie, le liriche più amate, realmente vissute e dedicate a tutti gli emigranti e premiate ai primi posti sono: Il treno del sud, Indelebili orme, I minatori, Dove ho lasciato il cuore, Stazione di Chiasso, Viaggio a ritroso. Lo scrittore svizzero Dr. Ernest Halter ha scritto di lui: "Ho provato una grande emozione leggendo poesie realmente vissute."
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IL SOLE SORGERÀ ANCORA |
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Dalla prefazione di Marzia Carocci: Graziano Sia, pubblica un libro che ci riporta al doloroso “movimento” dell’emigrazione. Famiglie divise, nuclei sradicati da terre martoriate, padri divisi da madri , da figli, dalla propria origine.
Viaggi estenuanti con valige di cartone, in paesi stranieri, freddi, senza radici e sicurezze in un brusio di voci che non è la tua lingua, la tua gente, la tua vita.
L’emigrazione; a volte la sola possibilità di sopravvivenza, viaggi della speranza, in luoghi dove il sogno della propria terra scalda come quel sole lasciato, quel sole che intiepidisce le zolle e profuma l’aria di buono, di amore, di famiglia.
I racconti che arricchiscono il libro di verità sentita, sono immagini che si aprono ai nostri occhi rendendo l’immaginato quasi reale.
La modalità descrittiva dell’autore ci fa “vedere” i personaggi e ce li fa conoscere con i propri disagi, le paure, le lacrime e la nostalgia che è sovrana fra le righe.
Il canto della speranza è musica in sottofondo, la speranza del ritorno alla terra dove spesso, per molti è rimasta solo un’utopia.
La scrittura di Graziano Sia è una simbiosi fra descrizione e poesia , alcuni passaggi, sono vere e proprie liriche, che arricchiscono ulteriormente l’idea che l’autore vuole dare.
Aneddoti di vita vera, comune ai tanti emigranti, racconti che sono piccoli capolavori con una capacità di sintesi non indifferente, dove l’autore riesce a rappresentare le sensazioni, i caratteri, persino la fisicità dei personaggi che hanno camminato nella sua vita, regalandoci uno spaccato ben delineato e narrato in modo estremamente visivo.
Da segnalare il toccante racconto “I nonni paterni”, una storia che è continuità d’amore, dedizione, ricordo;una storia dove anche il lettore si sentirà piccolo di fronte alla grandezza, al valore e al senso che il racconto ci propone.
“Spesso li trovavo seduti davanti al camino, mano nella mano…si amavano perdutamente, nonostante gli anni (…).
Un amore forte, che né la guerra, né l’emigrazione, né fatiche ed ostacoli hanno scalfito;un amore che è maestro di vita, impreziosito dagli anni, fortificato dal tempo e dagli eventi, dove il sentimento é la condivisione di tutto;nel bene e nel male. Graziano Sia , ha saputo tessere con abilità, sensibilità e intelligenza, quelli che sono i valori della bella e brava gente, quella stessa gente che ha il cuore in mezzo al petto, un cuore che è amore per la famiglia, per la propria terra e quindi le proprie amate origini. Racconti che sono la traccia di un tempo, un tempo che ancora è presente e che non dovremmo mai dimenticare.
Basta guardarsi attorno, non ci saranno più, forse le valige di cartone, ma tanti volti stranieri, uomini e donne lontano dalle loro origini e dalla loro terra; gente che sogna e che spera ancora di ritornare da dove sono venuti.
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EMIGRARE, SE DIO VUOLE, IN SVIZZERA |
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Dalla prefazione di Marzia Carocci:
Graziano Sia, attraverso un linguaggio lirico suggestivo e altamente immaginario, ci conduce nei suoi ricordi, in quel suo passato di emigrante, quando non rimaneva altro per sopravvivere, che andare a cercare lavoro oltre la propria terra, le proprie radici, la propria cultura. Parole vive, che incantano e commuovono e che spiegano chiaramente, gli attimi, gli stati d’animo, le difficoltà e la nostalgia di chi, come il nostro poeta, ha dovuto lasciare, la terra di origine e la propria famiglia. Graziano Sia, in questa sua silloge, costruisce una sorta di diario, con annotazioni accurate, e lo fa in poesia con immagini ricche di particolari che ci rendono spettatori di quel fenomeno lontano dalla nostra immaginazione, un fenomeno sociale che per anni ha diviso famiglie e affetti, migliaia di persone che si sono dovute adattare a cambiamenti repentini del proprio vivere naturale, una scelta dovuta alla mancanza di lavoro, in quelle terre che hanno subito trasformazioni per varie cause. Nostalgiche liriche che incantano e rendono i sensori in attesa; si sente l’odore acre del minatore stanco, l’odore delle zolle umide, del pane appena cotto, si vede la finestra “sbrindellata” accanto a un lettino disfatto, si respira l’olezzo del vento … Graziano Sia, nel suo libro non dimentica di rammentare le persone che hanno fatto parte del suo passato, di quella gioventù ormai lontana; ricorda la bella acquaiola, Martino “brizzolato” a venti anni, Don Luigi, sempre indulgente , Vincenzo detto il “selvatico”e la rimembranza costante della madre, quella madre nel ricordo, nella ricerca del suo viso attraverso il sogno, la preghiera, quella madre che è pensiero fisso nella ricerca dell’abbraccio in quell’amore che è eterno e indissolubile. Attraverso le particolarità che Sia descrive, ci immaginiamo la simbiosi fra la terra del sud, con i campi, i vicoli acciottolati, il sole caldo e le montagne della Svizzera con i suoi laghi, l’ordine, e l’ospitalità di una terra che offre a chi ha bisogno di sperare, di farcela, di sopravvivere. Pigiati sui vagoni di sola seconda classe, sonnecchiavamo come cavalli, s’avvertiva forte l’odore del sudore, di cacio, del lardo e del salame. Versi che da soli, rendono chiara la forza del pensiero del poeta che porta con sé ogni istante, quasi a volere assorbire tutta l’essenza e il vigore d’ogni attimo vissuto per non tagliare mai completamente quel cordone ombelicale con la MADRE terra; un ricordo da rivivere ogni qual volta si presenti la malinconia e il bruciore che riapre la ferita del cuore. Un viaggio poetico che diventa storia mano a mano che si legge, ogni pagina è costruzione e distruzione del tempo, della rimembranza di quella nostalgia che si apre in ogni suo verso. Una storia vissuta, narrata, con liriche toccanti e dense di verità sentite, passi di sogni, ostacoli e sudore, una lettura che fa riflettere ad ogni riga soprattutto quando Sia scrive: “Figli, non seppellitemi sotto le straniere zolle! al tepore della mia terra, nel mio paese vorrei tornare a riposare” “Seppellitemi con i miei morti all’angolo del quadrato, là vi sarà un pensiero, una lacrima e un fiore anche per me”. Con questo cantico emozionale, ogni altro commento è superfluo, la forza viva di queste parole, abbraccia con amore e calore la propria terra, mai dimenticata ed esiliata dal cuore! |
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CORRI RAGAZZO CORRI |
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Dalla prefazione di Fulvio Castellani: |
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SEMPLICI POESIE ISPIRATE DALLA FEDE |
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Dalla prefazione di Fulvio Castellani:
Guardare estasiati e sereni verso l’alto, verso un oltre che ci osserva, seguendo il cinguettio e la fragranza di un bosco verdeggiante, diventa per Graziano sia un invito alla fede, genuina e plasmata da una luce misteriosa, fascinante e celestiale come il sorrido di un’alba che si specchia in un mare d’amore per Dio e gli altri che, assieme a noi umani, guarda in direzione di una Luce senza fine che ci consente di camminare e agire nel segno di un amore infinito... Così si sostanzia la poesia, semplice e spontanea di Graziano Sia che segue sempre il filo di un lirismo magicamente onesto che infonde, non a caso, coraggio e speranza in ogni cuore nostalgico e gaudioso. La voce di Dio è sempre presente nel diario, vecchio e nuovo, del poeta. Ecco così che afferma di conoscere Dio “attraverso le mie cadute / sotto il peso delle mie iniquità / che, come macigni / m’opprimevano nell’intimo”... È un discorrere, il suo, che tocca ricordi lontani, presenze che il tempo sta sbiadendo... ed ecco comparire le semplici figure di un nonno e di un nipotino, la voce della coscienza, i pensieri che volano lontano e ritornano con il mormorio delle fontane, con l’abbaiare dei cani e il miagolio dei gatti, con l’ascoltare affascinati “il suono del piffero / e la zampogna”, con la forte nostalgia del mare... Graziano Sia, in pratica, percorre e ripercorre il suo tragitto di uomo di fede usando parole semplici ma pregnanti di umanità e di altruismo, ringraziando sempre il “mio Dio / per l’aiuto che mi hai dato: / un lavoro dignitoso, / una casa spaziosa, / un modesto conto in banca, / una sposa meravigliosa / e tre figli assennati”. È un percorso poetico, il suo, che fa meditare e che rappresenta la grande capacità di accontentarsi sempre e di avere al proprio fianco una fede sincera e un concerto di suoni, di presenze, di equilibri, di speranze che lo fa dire con una solarità esemplare: “Ti ringrazio mio Dio / appena mi desto... Tu sei la luce / del mattino che scaccia le tenebre / e inonda i miei occhi”... Poesia semplice, la sua, ma ricca di espressioni forti, di tante sorgenti di luce e d’amore, di tante stelle ardenti che lo fanno cantare e sognare con dignità un mondo senza confini intrappolati di reticolati e di caotiche assurdità... Come a dire che la sua poesia, semplice e genuina, non può non trasmettere amore e fiducia in chi la legge e ne sa gustare i messaggi che ci consegna. |
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DA BAMBINO SOGNAVO DI MIGRARE VICINO: IN SVIZZERA... ANZICHé OLTREMARE, COME NONNO E PAPà |
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Sul filo dei ricordi una lunga storia di emigrazione e lavoro... A TE CHE SEI LONTANACara compagna della remota infanzia, |
Per i lettori di Carta e Penna ha scelto:
IN UN MONDO NUOVO |
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Sento sulle spalle il peso degli anni,
i miei giorni se ne vanno
più veloci della spola ...
ma ringrazio Dio per quanto ho avuto
considerando chi non ha avuto niente.
Voglio evocare alla memoria
i miei genitori... rammento con chiarezza
il pietoso quadro del distacco.
Si scioglieva in singhiozzi mia madre ...
io e i miei fratellini gemendo
ci appigliammo alla svasata gonna.
Con lo sguardo a ritroso
veniva trascinato nell’auto
il mio povero padre ... poi il treno,
il bastimento per una terra lontana,
cielo e mare ... la lontananza si misurava
in lunghi giorni di mare.
Oh padre, padre...
da quell’uggiosa sera d’autunno
invano aspettai il tuo ritorno...
mi mancava il tuo sorriso
e quella ruvida carezza sul viso.
Guardavo il volto spento di mia madre
e sognavo la tua presenza.
Mio Dio: ho cercato di vivere
secondo la tua volontà!
Da sempre spero nella vita che tu additi...
Allora ci ritroveremo tutti uniti
attorno alla tavola imbandita.
A ogni tramonto ritornerà
al suo nido mio padre ...
nelle sere d’inverno
poggerò la testa sulle sue ginocchia
e guarderemo insieme
il lento esalare della fiamma del camino.
Forse vedrò mia madre
giocare con la bambola
insieme alle sue amiche d’infanzia
nelle lunghe sere d’estate.
Vorrei tanto vederla seduta
tra i banchi di scuola ... anziché nei campi
dall’alba al tramonto nella terra untuosa,
appiccicosa sulla pelle...
Donale la gioia e le dolcezze
perdute in quei lunghi anni.
AutunnoSi ridesta l'autunno
con gocce di pioggia
stillanti come diamanti.
Seguono forti sbuffi,
che scuotono sulle cime dei monti
la grave e stanca immobilità
dei grandi alberi esausti ...
E quando gli sbuffi non tormentano
le moribonde foglie,
fitti rimasugli di nebbia
si ergono a onde,
impigliandosi pigri
tra ì rami tediati ...
Giù a valle stagnano,
fumigano qua e là
dagli uliveti e dai vigneti,
sembra ardono a lento,
senza fiamma, senza crepito.
Al calar del crepuscolo
nel vecchio, sonnolento paesetto:
Un mucchio di fulvi tetti ammuffiti,
solo il campanile svetta;
dai comignoli, i primi zampilli
biancastri di fumo ...
Ora di mesti ritorni.
Odore buono nell'aria,
tra le anguste piazzette
e le viuzze scoscese,
ombre stanche varcano la soglia
del dolce rifugio
senza maniglia alla porta,
mentre sale nel cielo
l'allegro vocio dei bambini.
PANE OLIO e ALLEGRIAVibra nel mio cuore
un vertiginoso desiderio,
che nella mia terra mi conduce
sotto un cielo azzurro d'altri tempi,
e un mare verde increspato.
Paesaggio incantevole,
dove la tristezza consiste
nel non sapere che si è tristi ...
e l'angustia diventa allegria.
Rivivo spensierati mattini
nei luoghi del tempo infantile,
camminiamo scalzi liberi
nei campi, mentre il vento scivola
sull'erba rugiadosa.
Attraversiamo il fiume
dove l'acqua è bassa,
e il suo suono che fluisce
ci avvolge, come ci awolge
nitido il ricordo...
sensazioni, emozioni,
la musica fa sognare e l'anima respira.
Seduti all'ombra degli ulivi
inargentati dalle foglie smosse,
mangiamo fette di pane casereccio
condite d'olio e allegria ...
in quei campi s'imparava
a lavorare, a soffrire,
e a lottare.
Luogo puro, scevro d'egoismo
e malvagità, luogo eterno di quiete
sotto un cielo amico,
campi al sole,
vivi l'erba e dolci fiori,
un rifugio del cuore e dell'anima.
DOVE SEI MADRESvegliandomi dal solito incubo,
madido di sudore
e rassegnato all'insonnia
mi chiedo: "Dove sei madre!...
Perché non sei qui?"
Lo scatto del ricordo
rompe il respiro affannoso,
chiudo gli occhi e ti vedo
venire da me sussurrando ...
Mi abbracci stretto, stretto,
e singhiozzando ascolto
la tua rilassante filastrocca.
Sento la tua mano leggera
sfiorarmi i capelli,
quel tocco delicato sul viso
cancella i residui
dei miei incubi infantili.
Le tue dita tracciano
lettere e parole
di una preghiera arcana;
m'è dolce il tuo ninnare ...
a ogni verso una carezza;
nei tuoi occhi leggo
la musica dell'anima serena
mentre calano le palpebre
nel sonno.
O madre! Madre...
la tua ombra la ritrovo
in ogni angolo, e la tua voce
è l'anima diffusa.
Dal cielo continui a vegliarmi
e rimani per me
il più sicuro appiglio,
eterna donna
solo tu mi dai sollievo
colmando ogni vuoto;
e soavemente m'abbandono
nel mare calmo
della tua muliebrità.
NOI NON PARTIREMODi quel quieto paesaggio tutto ricordo,
ma è la tua immagine essenza della mia memoria
che guardo in un tenero riverbero. Rivedo
il tuo viso puerile, ripenso il tuo sorriso,
ascolto le tue parole che arrivano leggere ...
Trasalimenti che scuotono il cuore; vita mia:
Nello stesso vicolo di quelle case ingobbite
di pietre, e di annosi mattoni, barcollando
abbiamo mosso i primi passi.
Ti ho visto crescere, eri una di quelle povere
ragazze: Graziose, fresche e gioiose.
A ogni partenza con gli occhi umidi...
giuravamo sotto la faccia cadente del cielo:
" Noi non partiremo !... " Vanamente
ipotecammo e immaginammo un futuro
diverso ... con un crudelissimo addio
prima tu, e poi io, voltammo le spalle
all'incantevole paesaggio dell'anima.
In pochi giorni bruciarono i nostri ingenui
sogni... tra di noi un oceano di silenzio,
cinquant'anni di ricordi, l'ansia
di rivederti... a quel silenzio ho congiunto
ogni mia vana speranza. Spesso in quel magico
luogo nei miei sogni ti ritrovo ... incuriosito
ti guardo mentre annodi le tue nere trecce,
beviamo alla sorgente, raccogliamo fiori,
ridiamo, cantiamo, corriamo a perdifiato ...
poi sfiniti e stanchi, intrisi di vento,
teneramente ci abbracciamo ... e i nostri cuori
avvampano ancora insieme come un tempo.
IL TRICICLO di LEGNOII triciclo che mio cugino lasciò
quando lontano andò,
rimase in un angolo della cucina
accanto la catasta di legna
da ardere.
Era da bruciare
il triciclo di legno,
che con cento lire
sua madre comprò
alla fiera di" San Nicola,"
Per i suoi quattro anni.
D'avanti al camino stava seduta
come un'anima in pena,
la vecchierella
dagli occhi tegolati e spenti,
e dal volto corroso
dall'usura del tempo;
sotto lo sguardo languido
e nostalgico, il triciclo ...
su quell'animato balocco
immaginava seduto
il suo nipotino.
Rideva, parlava, gesticolava ...
di tanto in tanto
fingeva di spolverarlo,
ma erano coccole di lontananza
sul mai obliato roseo visino.
Quanta malinconia!
Quanta, quanta solitudine,
quanto vuoto, quanto freddo
sentiva la vecchierella
nel cuore vuoto,
schiavo di un dolore senza uscita,
a inseguire ombre e ricordi.
È l'orrore della vita
del mistero e fato. |