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Abbate Giacomo: è di Savona.



Con Carta e Penna ha pubblicato:

PRIME POESIE

Copertina libro
Le poesie raccolte in questo volume sono, come si evince dal titolo, i primi scritti dell'autore e toccano gli argomenti più disparati:
l'handicap, il ruolo dela donna, i ricordi... Proponiamo alcuni versi dedicati alla moglie: 
 
 
Da più di vent'anni noi siamo sposati, 
belli dolci e sani abbiamo tre figli
abbastanza studiosi e aperti ai consigli
ci amiamo come quando ci siamo incontrati.
Mia moglie è una donna opulenta e formosa
ha belle curve da accarezzare e da vedere
incantato dalle movenze del sedere
piene ho le mani della sua carne setosa.
Belle le rughe profonde d'espressione
ha amato, ha sofferto, si è anche divertita 
ha partorito i figli, ha amato la vita 
ha dato tanto con dolcezza e passione.


Per i lettori di Carta e Penna ha scelto:

CARABINIERE

Vedi l'abisso dell'esistenza umana
il lato oscuro dell'uomo delinquente
che morto dentro e pervertita la mente
persegue il delitto con passione insana.
Le risse, i furti, le rapine e l'assassinio
fino agli orrori della pedofilia
gli stupri, i ricatti e la necrofilia
e altri delitti che sono un abominio.
Purtroppo niente di nuovo sotto il sole:
l'uomo è il peggior nemico di se stesso,
insegue la sua chimera, e troppo spesso
procura la morte anche alla sua prole.
Contro le tenebre dell'umana esistenza
avanza l'Arma nei secoli fedele;
nell'ombra nera porta le bianche vele
dalla giustizia perseguita con pazienza.
Carabiniere, leggendaria è la tua storia;
su tutto il territorio, in pace e in guerra
con te è più sicura la nostra amata terra,
il medagliere dell'Arma è gravido di gloria.
Sei mandato missione in terra straniera,
i pericoli mortali, i continui agguati
sotto l'attacco di terroristi spietati
non sapendo di giorno se rivedrai la sera.
I pattugliamenti, le veglie, l'ansia concitata
in climi spaventosi in paesi arsi dal sole
sospirando l'Italia e le sue belle aiole
braccato dalla morte, una caccia spietata.
Lontano dall'Italia la tua vita langue;
se cadi schiantato sul campo dell'onore,
vicino a te c'è comunque il Tricolore:
il verde dell'erba, il bianco della camicia, 
il rosso del tuo sangue.

AVIS SAVONA

Tessiamo la grande rete d'oro e d'amore
col calore affettuoso del nostro cuore.
Tutte le mattine sorge il sole all'orizzonte
Tutte le mattine ci sono persone pronte
a compiere il rito misterioso e affascinante
del dono del sangue purpureo e brillante.
Non versano il sangue del nemico ucciso
ma versano il proprio per portare un sorriso,
facendo la guerra incessante alla morte
strappando persone a una misera sorte,
a malati, a persone sulle strade schiantate,
a lavoratori caduti sulle moderne barricate;
perché il benessere odierno di sangue gronda
ogni oggetto che tocchiamo il sangue lo innonda.
Passano gli anni, il capello si fa grigio
e sempre il donatore al suo dovere è ligio.
Passano gli anni, il capello si fa bianco,
ma ancora di dare il vecchio non è stanco.
Chi dice, ottenebrato, che al mondo non c'è amore
vada alla mattina all'AVIS a riscaldarsi il cuore.
Donare è possibile perché all'AVIS i volontari,
medici, infermieri, aiutanti e funzionari,
nel gelo del mattino, nei più sperduti paesi,
qualunque sia il tempo a far prelievi sono tesi;
a Urbe e a Calizzano, a Bardineto, a Sassello
insomma dovunque l'AVIS trova un fratello.
D'estate e d'inferno, quando è più duro andare
i soldati della vita sono pronti a prelevare
il sangue preziosissimo, a portarlo all'ospedale
sorgente di salvezza per chi si sente male.
Stesa su Savona è la rete d'oro e d'amore,
dagli avisini col calore del loro cuore.

IL CENTRO TRASFUSIONALE DI SAVONA

I giornali riportano dei medici gli errori
ma ignorano degli ospedali i grandiosi tesori.
Solo pochi ricordano i milioni di guariti,
neonati operati al cuore appena partoriti.
Le mani riattaccate, le protesi stupende
le ferite richiuse, liberate dalle bende.
I visi ricostruiti con le plastiche facciali,
il grande ospedale cura tutti i nostri mali.
Nostra sorella morte frequenta gli ospedali
per mettere alla prova il coraggio dei mortali.
Bambini ormai morenti strappati dalla tomba
il grido di gioia dei medici rimbomba.
La signora del mondo osserva compiaciuta,
non esita a sorridere vedendosi battuta.
Nel corpo della città, nel sistema arterioso
volano le ambulanze col volontario glorioso.
Squillano le sirene con angoscia estrema 
portando i moribondi alla salvezza suprema.
Finalmente il pronto soccorso, l'ansia concitata,
l'intuito fulmineo ha un'altra vita slavata.
I drammi sulle strade, i parti in ambulanza
la stella di Valloria irradia la speranza.
Pulsa il cuore immenso dell'enorme ospedale
è un porto di speranza per chi si sente male.
L'immensa complessità, gli smisurati magazzini 
migliaia di medicinali a salvare i destini.
L'immensa complessità delle cucine e dei pasti,
la distribuzione, i gas tecnici e riparare i guasti.
Chilometri di cavi, di tubi e di condotte,
il grande ospedale pulsa, vivendo giorno e notte.
E medici, infermieri, aiutanti e volontari,
silenziosi combattono per salvare i nostri cari.
L'uomo sarebbe misero e solo sulla terra
se l'ospedale al pericolo non facesse la guerra.
A sostenere l'ospedale accorrete volontari
con opere, assistenza e dono di denari.
Ma sotto a tutto scorre un grande fiume ardente
donato alla comunità senza chiedere niente.
Un fiume di sangue donato all'ospedale,
la fonte della vita per chi si sente male.
Per gli italiani e gli stranieri alleviato è il dolore
Il sangue umano è rosso, è di un unico colore.
Il rosso della bontà, il rosso dell'amore
nessuno è straniero per il dono e l'onore.
Correte clandestini il vostro sangue a donare
per salvare i malati che non possono aspettare.
Le donne destinate al parto sanguinoso
spesso sono salvate dal dono generoso.
Arrivano operai nei cantieri schiantati,
con ferite lancinanti, con i visi sfigurati.
La gioventù in atroci incidenti macellata
ha bisogno di sangue per essere salvata.
Organi trapiantati sono vampiri di sangue
senza il vermiglio liquido il malato langue.
Nel centro trasfusioni efficiente e ovattato
tonnellate di sangue ogni anno è trattato.
Le mani leggere come farfalle delicate
piantano gli aghi nelle vene già provate.
Non si sente nulla, comodamente sdraiati
mentre il sangue fluisce per salvare i malati.
Un'attenzione vigile e tanta gentilezza
fanno della donazione un momento di bellezza.
Coloro che non vedono la Sanità “buona”
vadano a vedersi il Trasfusionale di Savona.

CALIGOLA

Nome feroce per un dolcissimo gattino
nomen omen vale solo per i cristiani
ma non è valido né per gatti né per cani,
lo chiamiamo Cipolla e anche Tenerino.
Della nostra casa è il dolcissimo folletto,
esplora ogni più nascosto ripostiglio
miagolando forte e con fiero cipiglio
se teniamo chiusa la stanza da letto.
Passeggia ovunque, silenzioso e leggero
tenero e lieve, elegante e delicato
amante del morbido e col passo felpato
per lui la casa è fonte di mistero.
Mi viene incontro come appena arrivo
si sdraia sul tappeto anelante d'affetto
attende fiducioso, sa che non ci metto 
molto a impastarlo, di vezzi non lo privo.
Mi sale su una spalla se lo prendo in braccio
poi si acciambella di traverso sul collo
vibrando per le fusa, non è mai satollo
di coccole, rilassato come uno straccio.
Metto tavola e tolgo la roba stesa
sempre col gatto soddisfatto addosso,
cauto nel muovermi, non vuol essere scosso,
farlo scendere è una laboriosa impresa.
È un siamese, avente azzurri gli occhi
dolcissimi e fiduciosi, ormai è anziano
vibra dolcemente sotto la mia mano
mi segue ovunque e vuole che lo tocchi.
È una presenza costante e silenziosa
dorme con noi alla sera nel letto
lo carezziamo con intenso affetto,
una ciambella morbida e affettuosa.
È stato malato di un'infezione strana
noi disperati lo vedevamo con terrore
stanco e smagrito, ci si stringeva il cuore
lo abbiamo curato per una settimana.
Mia moglie faceva la flebo e la puntura,
si lasciava far tutto, dolce e fiducioso
mai si è ribellato all'ago doloroso
e fortunatamente ha reagito alla cura.
È guarito bene il dolce gladiatore
che il suo territorio difende con coraggio
perché il giardino non subisca l'oltraggio
della presenza di un estraneo invasore.
Mia moglie si sdraia, la tele a vedere
lui subito le si accuccia sulla pancia
oppure sul petto, le respira sulla guancia
soddisfattissimo, quasi tutte le sere.
Venerdì arriva mia figlia da Milano
l'incontro è molto tenero e affettuoso,
lui entra nella valigia e guarda curioso,
poi si accuccia nei vestiti piano piano.
Alla sera tocca a lei averlo nel letto
ci mette un po' a trovar la posizione
poi si rilassa, è tanta l'emozione
di averla vicina, che ronfa con diletto.
Il nostro Caligola, Cipolla e Tenerino
da sedici anni compagnia ci tiene
tutti e tre gli vogliamo tanto bene,
sia lunga vita al nostro bel micino.
 

EMIGRAZIONE

Vai, striscia in ginocchio da tutti umiliato
la tua Italia matrigna ti ha abbandonato.
Eravamo raminghi, sulla terra pezzenti
per noi i lavori più duri, vivevamo di stenti,
il pane degli altri era amaro da mangiare
in paesi senza sole, non ci facevano parlare.
A dura vita, a dura disciplina muti, derisi
solitari stavamo, le nostre vite senza sorrisi,
senza famiglia, senza fiori e senza sole
struggendoci per l'Italia e le sue belle aiuole.
Con amarezza lasciammo i nostri paeselli
eravamo sfruttati dai nostri stessi fratelli,
miseria senza requie e la fame e la fatica
per il povero non c'è alcun Dio che lo benedica.
Quanto coraggio ci voleva a emigrare,
il giogo durissimo andare a sopportare.
Nel sud della Francia fu il crudele massacro
nelle pietre il sangue faceva un lavacro.
In America a Chicago Italiani massacrati
da probi cittadini, ma razzisti spietati.
In Germania erano trattamenti disumani
vietato era l'ingresso ai cani e agli Italiani.
Mandavano il denaro del loro sangue intriso
perché la loro famiglia avesse un sorriso.
Mandavano il carbone del loro sangue intriso
i morti a Marcinelle son tutti in paradiso.
A Mattmark Italiani sepolti senza croce
mai più le loro madri ne sentirono la voce.
Il fisico d'acciaio, il coraggio dei leoni 
grandiosi a sopportare fatiche e umiliazioni.
All'estero, nel mondo da tutti disprezzati
dai nostri governanti derisi e abbandonati.
Figli di un Dio minore, di una patria matrigna
raminghi per il mondo sotto una sorte maligna.
Gli ebrei da millenni sulla terra italiana
nel '38 abbiamo fatto una legge disumana.
Non servì il loro sangue per l'Italia versato,
furono condannati a un destino spietato.
Subirono la Diaspora dai cattolici italiani,
qualcuno si salvò con sforzi sovrumani.
Gli altri subirono nei lager il martirio
contente l'Italia e la Germania nel delirio.
Decine di ebrei salvati a rischio della vita,
migliaia di denunciati, la lor fiducia tradita.
Fra i Giusti di Israele centinaia di italiani,
migliaia di italiani si infangarono le mani.
Benvenuto allo straniero, non sia fonte di paura
facciamo sì che la sua sorte non sia dura.
Spesso è un proscritto e in miseria langue
per arrivare da noi paga il tributo di sangue.
Non viene a trionfare, ma viene a sopportare
diamogli affetto, un posto da riposare.
Onore sia alla Madonna dei clandestini,
una dottoressa che tentava di alleviarne i destini,
e provava a rianimare un africano morente
sulla spiaggia italiana, sotto il sole cocente.
Avvolgiamoli di affetto, di dolcezza e di calore
diamogli un dono prezioso, diamogli l'amore.

EBREI ITALIANI

Uno squarcio nel ciclo, un baleno rovente
si affaccia dall'Empireo Iddio onnipotente
che assieme al grande alato Gabriele
cercano sulla Terra i Figli di Israele.
Si soffermano su un dolce paese, l'Italia
che da sempre ai popoli ha fatto da balia;
ma non agli ebrei, fu per loro matrigna
li ha perseguitati con costanza maligna.
Nei ghetti disumani, col marchio sui vestiti
braccati, rapinati, laceri e denutriti.
In pieno novecento i lor bambini rapiti
nel ghetto di Roma, e poi nel nulla spariti.
Ma essi con la loro pazienza leggendaria
hanno vissuto la loro epopea bi millenaria.
Per millenni hanno commentato la Torah,
seguendo i bracci dell'ardente Menorah,
che li ha guidati nel buio della storia,
candeliere a sette luci ricolmo di gloria.
Della stirpe umana è il simbolo più antico
da troppi è considerato l'emblema del nemico.
Nei ghetti, nei pogrom, nell'esilio odioso
il simbolo arcano risplendeva luminoso.
Ha del miracoloso l'averlo preservato
nelle catastrofi che gli ebrei hanno passato.
Non portavano armi contro chi li opprimeva,
da millenni tramandano il linguaggio di Èva.
Dio ammirava la mansuetudine di Gandlii
ma gli Ebrei nella sventura furono più grandi. 
Mazzini era morente a Pisa clandestino
dell'apostolo d'Italia amaro fu il destino.
In casa dei Rosselli, ebrei, fu ospitato, 
la vergogna dell'arresto gii avevano evitato. 
Nel Risorgimento d'Italia hanno combattuto,
assieme a Garibaldi dopo lo Statuto. 
Mille ebrei decorati nella Grande Guerra 
per fermare l'invasione della nostra terra.
Non servì il loro sangue per l'Italia versato,
furono condannati a un destino spietato.
Figli di un Dio minore, di una patria matrigna,
raminghi per il mondo sotto una sorte maligna.
Gli ebrei da millenni sulla terra italiana
nel trentotto fu fatta ma legge disumana.
Subirono la Diasporadai cattolici italiani
qualcuno si salvò con sforzi sovrumani.
Gli altri subirono nei lager il martirio 
contente l'Italia e la Germania nel delirio. 
Decine di ebrei salvati a rischio della vita 
migliaia denunciati, la lor fiducia tradita. 
Fra i Giusti d'Israele centinaia di Italiani, 
ma altri a migliaia si sporcarono le mani. 
Dalle case strappati, dal Portico di Ottavia, 
l'umanità cristiana si ricopriva di ignavia.
Alcuni disperati arrestati sui confini,
per avere la taglia, venduti agli assassini.
Già salvi oltre confine e indietro trascinati
ad Auschwitz e Treblinka infine deportati.
Ritornarono pochi ebrei, derisi e umiliati,
trovando al loro posto chi li aveva condannati.
Tornati dall'inferno, sopportato ogni dolore
più d'uno fu condannato come disertore.
Anche nel dopoguerra i lor cimiteri profanati,
troppi sono gli assaliti, troppi gli insultati.
Gli ebrei italiani, sotto larvata minaccia
svaniscono man mano senza lasciare traccia.
Mentre si loda la tolleranza per il diverso
sotto i nostri occhi scompare un universo
fecondo, di storia millenaria, risplendente
dalla patria italiana tristemente sparisce.
Spariranno i rituali, i cantori taceranno
le belle sinagoghe pian piano chiuderanno.
Lo Shemà Israel, non sarà più recitato,
rimarrà soltanto la dolce eco del passato.
Addio sacra Menorah, Stella di Davide addio
degli ebrei italiani rimarrà solo l'oblio.

ASPETTERò

A Vado, nel 1960, in piena estate la spiaggia è affollata di gente abbronzata; il sole di luglio brilla trionfante, il mare con le sue onde eterne risana e calma i bagnanti; c'è gioia di vivere. Al pontile attraccano le navi, i grandi stabilimenti lavorano a pieno ritmo, pieni di migliaia di operai; nella piana di Quiliano si producono centinaia di tonnellate di frutta e verdura. Pulsa la vita, e anche se le tracce della guerra sono ancora vicine, il desiderio di riuscire, di riscattarsi da un passato di miseria, il fatto stesso di dormire senza l'incubo dei bombardamenti o le feroci retate degli occupanti stranieri, purtroppo entusiasticamente aiutati da complici italiani, porta a una serenità, al sentire che il futuro sarà senz'altro bello. Stasera si balla in vari bagni, nelle società, all'aperto.
Quasi all'improvviso nasce una voce: un gruppo di atleti stranieri che si trova qui a spiaggia per fare cure di nuoto e di sole, propone di fare una gara di tiro alla fune.
È un tipo di gara molto diffuso da “loro”, pochissimo da noi.
Tra i nostri c'è una grande emozione; un uomo curioso ricorda delle cose: noi con gli straccioni di Garibaldi alla difesa di Roma, “loro” con le belle divise, noi con gli straccioni a Curtatone e Montanara contro di “loro” perfettamente equipaggiati, noi con gli straccioni alle Cinque Giornate di Milano, alle Dieci Giornata di Brescia, alla difesa di Venezia.
Il salto fino al '43, noi con gli straccioni partigiani; fischia il vento, infuria la bufera, scarpe rotte eppur bisogna andare, “loro” con le truppe organizzate; noi lacerati dalla vampa d'odio tra fratelli, noi che catturiamo i nostri per consegnarli a “loro” e avviarli a un destino atroce nelle caligini nordiche, un destino di deportazione, di morte, di tortura; “loro” uniti, come sono uniti nel disprezzo verso i loro complici traditori dell'Italia.
L'uomo curioso è un sopravvissuto, porta ferite indelebili nell'animo; sa di essere emotivo; questa è solo una gara di tiro alla fune, nell'Italia libera, nella sua Vado; ma una frase dal significato sinistro gli pulsa dentro: ancora una volta.
Si cercano uomini robustissimi, e certo non mancano; operai che fanno lavori pesanti e, a casa coltivano orti, zappano, potano, sviluppando una forza e una resistenza fisica eccezionali.
Viene raccolto un gruppo di uomini, che nei prossimi giorni parteciperà alla gara. Quel giorno l'uomo curioso vede la squadra dei “loro” e ha una stretta al cuore: sono veri atleti, spalle larghe, toraci rilevati; non sono giovanissimi e certo qualcuno di “loro” era da queste parti in ben altre vesti, solo pochi anni fa.
Le due squadre sono a peso: cioè la somma del peso deve essere uguale e perciò i nostri, che sono piccoli e magri, sono due di più di loro. L'uomo curioso li guarda: non spalle larghe non toraci rilevati; qualcuno ha le spalle curve, le spalle del sopportatore; le mani sono grosse, nodose, abituate alla fatica incessante.
Ogni squadra ha un capitano, che coordina il tiro degli uomini. Sulla passeggiata dei giardini viene tracciata una linea; viene trovata una corda adatta. Fra i nostri c'è un dottore, anche lui un sopravissuto e del resto la squadra è formata da uomini molto particolari. Il capitano sussurra qualcosa al medico; chiamano gli uomini, e il capitano parla: ricorda loro gli anni del '43 al '45, risveglia i ricordi, fa rivivere episodi che tutti sanno e che pulsano dolorosi nell'anima; non spinge all'odio inutile, ma li incita a “ricordare” cioè riportare al cuore il passato per trarre forza per la prova attuale; la bufera è passata, tutto è finito, tuttavia……
Il medico, il capitano, l'uomo curioso e gli uomini entrano nel capanno di un pescatore. Non sanno perché ed ecco che il capitano glielo dimostra dicendo che col sacrificio siamo sopravissuti, col sacrificio oggi vinceremo, altrimenti “loro” torneranno ai loro paesi, dicendo “ancora una volta”. Non possiamo permetterlo.
Il capitano si siede a un banco di lavoro, mette la mano sinistra col palmo in alto sopra un foro nel legno del banco, tiene un chiodo rivolto verso il palmo; dice loro “ho sopportato la tortura, sopporterò anche questo”; con la destra prende un martello, batte solo un colpo fortissimo, il chiodo si pianta nel palmo, esce dall'altra parte; un rictus terribile fa contrarre il corpo e gli uomini non dimenticheranno mai più l'atroce smorfia dello sventurato; il medico fascia la mano trafitta; gli uomini sanno che è giusto, sanno che c'è bisogno del sacrificio, rabbrividiscono dall'orrore, ma è giusto così. Il capitano si alza, dice le parole che scaveranno un solco nell'anima di ognuno: “Andate, tirate, vincete, io aspetterò”. La sua voce è un rantolo che scandisce l'incitamento.
Le due squadre sono pronte; cinque dei “loro” e sette dei nostri, per equilibrare il peso. Due arbitri, due capitani.
La corda viene afferrata, i corpi si tendono; “loro” guidati dal grido ritmato, calmo del loro capitano; trasudano sicurezza; la posizione con la schiena dritta per lasciare libera la respirazione, le braccia contratte, sono pronti.
Anche i nostri sono pronti, si tendono; le schiene sono curve, le teste quasi toccano la corda, il capitano, sul ritmo della pulsazione insopportabile della mano ripete con angoscia: “Tirate, vincete, tirate, vincete…”.
Uno dei nostri è un marinaio, un sopravvissuto a un naufragio dopo che la sua nave è colata a picco; ricorda quando, caduto in acqua, è riuscito ad aggrapparsi a un pezzo di legno, mentre i suoi compagni morivano.
“Quando morimmo non suonarono campane, un gabbiano sperduto ci benedisse”.
È solo in mezzo al mare, non sa se verranno a cercarlo, ma si tiene tenacemente ancorato con le mani al rottame; scende la notte, scendono i fantasmi per prenderlo, ma arriva l'alba e con l'alba la sofferenza; il sole batte implacabile, ha fame, ma soprattutto la sete si fa intollerabile; si bagna la testa rovente, poi, non resiste più e beve un po' d'acqua. Peggiora la sete, eppure per due giorni e due notti resiste; un mattino vede una lancia, ma non crede ai suoi occhi, pensa che sia il delirio. Invece lo salvano e ritorna a combattere su un'altra nave. Con la stessa tenacia con cui ha tenuto il rottame ora tiene la corda del tiro. 
Anche il secondo uomo della fila ricorda: è un sopravissuto della ritirata di Russia, e tutto ha sopportato, continuamente meravigliato del fatto che il suo corpo potesse sopportare le marce terribili, il freddo, la fame.
Nelle pianure russe, nelle immense steppe, stretti dal gelo implacabile, sotto l'attacco dei sovietici, morivano a migliaia sepolti nella neve. E Nikolajevska, e la Madonna del Don.
Ora sente non il caldo sole a Vado, ma il freddo della Russia, non il vento caldo della riviera ma il terribile vento ghiacciato che taglia il viso; le sue gambe invincibili si tendono, anche lui si ripete le frase terribile. “Ancora una volta”.
Il più giovane che tira alla fune ricorda; gli scioperi del '43 nelle fabbriche di Vado. Le repressioni si abbattono sugli operai, a gruppi vengono catturati e deportati. Quel giorno, il ricordo lancinante; lui e sua madre corrono dalla Brown Boveri, avvertiti da qualcuno; su un camion ci sono degli operai, uno è suo padre; lo chiama disperato, corre dietro al camion; suo padre lo vede, gli fa un saluto e scompare. Non è più ritornato. Tirate, vincete, e lui, torturato dal ricordo terribile, tira con tutta la sua forza. 
Anche il quarto uomo ricorda; è stato catturato, messo su un vagone piombato, portato al nord.
“Viene l'armistizio, la sventura li ha azzannati, migliaia di soldati sono sepolti senza croce mai più le loro madri ne sentirono la voce, dai paesi partono le tradotte dei deportati”.
Anche lui la fatica disumana, il freddo, la fame e l'ultima marcia per spostare i prigionieri verso ovest. Chilometri nel fango, lo sfinimento assoluto, ma anche la caparbia volontà di vivere; vedere cadere i suoi compagni attorno a lui e poi, la liberazione. Anche ora i suoi piedi mordono la terra, tirate, vincete, le sue mani stringono spasmodicamente la corda: ancora una volta.
Il medico ricorda. Era il medico dei partigiani, procurano documenti falsi, falsi ricoveri, portava messaggi; quel giorno, un attentato a Savona; un gappista fugge verso corso Italia; lui lo vede. Parole concitate, presto in un reparto, traumatologia; ci sono lavori edilizi, c'è un secchio di ferro pieno di macerie pesanti; si capiscono al volo; il corridoio è deserto, il secchio piomba sull'avambraccio, lo rompe. Presto nel reparto, presto il gesso, che viene sporcato in modo da farlo apparire, almeno a occhi profani, di qualche giorno.
Nel letto, presto; eccoli, arrivano; il medico gli dà la capsula del veleno, da tenere tra le guance e i denti, nel caso … avvertendolo dell'estrema fragilità del vetro. Arrivano, girano, lo vedono; vedono il gesso e chiedono al dottore di quanti giorni è: otto giorni, confermati dal registro dei ricoveri. Se ne vanno, ma il medico su che ritorneranno accompagnati da un medico traditore; egli assiste alle torture, rinforza gli interrogati con iniezioni in modo da prolungare la loro vita e possano alla fine stremati, parlare.
Quel giorno ha assistito all'interrogatorio di un prete veramente ostinato; invece di confessare il suo aiuto ai partigiani e di farne i nomi, resiste con un'ostinazione assurda. È sera e il medico va al carcere di Sant'Agostino a vedere come sta questo sacerdote ostinato, torturato personalmente dal più feroce torturatore della zona, un italiano.
Entra nella cella, dove il sacerdote è riverso sul tavolaccio; gli sente il cuore, e soddisfatto gli annuncia per domani la ripresa degli interrogatori; allora il sacerdote gli dice le terribili parole: “Voi siete dannato, avete perso la grazia divina; c'è riscatto per tutti, basta una sola azione a salvare l'uomo dal perdersi; Dio ha pietà del peccatore, è venuto apposta per lui. Anche per il vostro amico torturatore italiano c'è speranza, perché lui ci odia fanaticamente, mentre voi non ci odiate, né me né nessuno, fate il male per la gioia di farlo, credete di affiancarvi al vincitore; ma il peccatore si salva, anche il suicida; ma voi siete dannato”.
Il medico esce furibondo e va a casa, dove lo avvertono che un ufficiale straniero vuole parlargli. Si sente gelare, sa bene cosa significa la lugubre mitologia nordica. Prudente come sempre, si inserisce due capsule di cianuro in bocca; suo suocero lo chiama con disprezzo “Cintura e bretelle” perché, nella vita non si sa mai. Lo accompagnano all'ospedale; l'ufficiale gli dice che vuol sapere se un'ingessatura è recente o ha qualche giorno. Il medico capisce al volo; entrano nella camera dell'ospedale e gli si presenta brutalmente la situazione: il partigiano ricoverato, il medico suo antagonista già entrato nella leggenda per i suoi salvataggi, e certo prediletto da Dio; vede se stesso, alleato dello straniero, anche lui è nella lugubre leggenda, quella dei traditori, è dannato.
Guarda il gesso, chiede infermieri, fa aprire l'ingessatura ed esamina con cura il braccio; conferma all'ufficiale che la rottura risale ad almeno a 8 o 10 giorni prima se ne vanno e lui, preso da un presentimento, va al carcere; si fa aprire la cella del sacerdote; è morto dissanguato, si è lacerato le vene. Ricorda le parole: c'è salvezza anche per il suicida, tanto più chi si è suicidato per salvare altre persone.
Intanto all'ospedale non perdono tempo: si rifà il letto, il partigiano viene nascosto nel carro dei sacchi della spazzatura e via verso Corso Ricci, Ciantagalletto, Cadibona, la salvezza nei boschi.
Il medico traditore va verso casa, arriva;una telefonata del suo antagonista lo avverte: è arrivato il torturatore italiano all'ospedale, ha scoperto la fuga e viene a prenderti. Si siede a mangiare con la famiglia, quando sente nella strada la brusca frenata di una camionetta; non più incertezze; il testamento più breve (lascio tutto a mia moglie) la firma; subito le capsule del veleno in bocca e ai suoi famigliari stupefatti dice quella frase che mai avrebbe pensato di dire, con una fierezza che certo non gli è abituale: “Ho ingannato i traditori, ho salvato un italiano”. Apre la finestra e le persiane, appoggia una sedia al balcone; rompe le capsule di cianuro e vola nel vuoto: il tempo di dire “Gesù, Maria accoglietemi” e lo schianto agghiacciante sul marciapiede.
Arriva il torturatore, colpi brutali alla porta; gli aprono, lui vede la finestra aperta e capisce al volo: corre nella strada, vede il morto; la speranza che sia solo ferito è subito spenta.
Avvicina la testa al viso del medico, sente l'odore del cianuro: prudente il bastardo.
Anche il medico, spronato dai ricordi, tira con tutte le sue forze, mentre il richiamo ossessivo “Tirate, vincete” non smette di risuonare.
Molti spettatori dei “loro” assistono alla gara e sono stupiti dal silenzio dei nostri spettatori. L'uomo curioso sa il perché:
“E come potevamo noi cantare 
con il piede straniero sopra il cuore. 
Con i morti abbandonati nell'erba dura di ghiaccio, 
al lamento d'agnello del fanciullo, 
l'urlo nero della madre che corre incontro al 
figlio crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
 
(Quasimodo)
 
È una semplice gara di tiro alla fune, ma i nostri spettatori, oppressi dall'angoscia, soffrono con gli uomini impegnati nello sforzo: nei loro muscoli per dare forza, nei loro cervelli per dare coraggio. Tirate, vincete, ma ecco che uno dei nostri barcolla; subito “loro” tirano, con abili strattoni cercano di far cadere i nostri; il mare ferma quasi le onde: cessa il vento, calma la bufera. Il sole guarda la gara, vorrebbe fermarsi.
Il nostro capitano incita disperato; ma i nostri cedono a piccoli passi, si avvicinano pericolosamente alla linea.
Tra gli spettatori c'è una ragazza, figlia di un sopravissuto; ella guardava stupita suo padre, non sapeva che avesse tutti quei muscoli, scarnificati per lo sforzo; lo chiama, con un urlo che emetterà solo nel parto: Papà! Un urlo che nasce dalle profondità dell'anima e dal profondo delle viscere.
Il richiamo raggiunge i cervelli ottenebrati dalla mancanza di ossigeno, gli uomini respirano, e i richiami angosciosi scandiscono lo sforzo: Papà e tirate, vincete; il capitano incita con voce fortissima, l'urlo pulsante col ritmo del dolore che gli strazia la mano.
Anche loro sono provati, il sole li cuoce, non sono abituati a sopportare l'insopportabile; l'incitamento del loro capitano si fa più isterico, aveva programmato una vittoria, ma con impegno, lasciando spazio ai nostri perché risaltasse più difficile e più gloriosa. Ora vede la difficoltà.
Ecco che suona la fortissima sirena della Monteponi, seguita da quella dei “Carboni” e della Astrea.
È una sterzata ulteriore di energia per i nostri, a uno cola il sangue da sotto le unghie, come gli sanguinavano i piedi nella ritirata di Russia; ecco che i nostri arretrano, un centimetro dopo l'altro le energie residue vengono fuori, sentono se stessi arretrare, decuplicando lo sforzo. Il richiamo del “loro” capitano si fa ossessivo, la voce sale a un'altezza eccezionale, non più il vigoroso incitamento sportivo, ma urli isterici, che i nostri hanno udito nei campi. Anche questo contribuisce a dare forza ai nostri, che arretrano inesorabilmente. “Loro” sono troppo ben nutriti, non sopportano, avanzano un centimetro per volta, perdono coraggio; un ultimo sforzo, i nostri fanno passi cortissimi indietro e finalmente “loro” passano la linea. I nostri non riescono ai fermarsi, non sentono e non vedono niente, ma il richiamo del capitano cessa; ora manca il grido che scandisce il tiro, arriva l'ultimo comando: Basta! La fune viene lasciata, i nostri tornano a vedere, il respiro si fa più regolare, mentre li assale una selvaggia impressione di trionfo. “Loro” ansimano, increduli inebetiti. Il loro capitano, con uno sforzo tremendo riesce a dominare la furia, stringe la mano del suo antagonista. Vede la sua mano sinistra avvolta nel fazzoletto insanguinato, vuol sapere; il nostro capitano toglie il fazzoletto; la mano è mostruosamente gonfiata attorno al chiodo, “loro” vengono a vedere, il nostro capitano sorride: con calma espone la mano, “loro” sono inorriditi e profondamente turbati: vedono i piccoli uomini che li hanno vinti, vedono la folla silenziosa che li guarda; capiscono che non ci sarà ancora una volta.
Il medico estrae il chiodo, cura la mano, ma una cosa non si potrà curare; le corde vocali del capitano sono spezzate per sempre.

CREARE LA BRUTTEZZA

L'aspetto di un paese o di una città è determinato da un insieme di fattori la cui somma fa sì che noi recepiamo subito un messaggio complesso: assieme a case, palazzi, borgate, chiese e paesaggi che sono spesso di bell'aspetto vediamo anche un assieme di cosa fortemente deprimenti e, purtroppo, progettate e costruite apposta.
Tutto ciò porta alla “creazione della bruttezza”, tenacemente perseguita specialmente dagli Enti pubblici, i quali dovrebbero essere in teoria più lungimiranti, attenti e aperti dei privati all'aspetto di ciò che viene costruito.
Per valutare il fenomeno depressivo occorre un lungo e lugubre elenco di cose in apparenza inspiegabili.
1) Lavori mal fatti
Asfaltature di pessima qualità e che invece di far evacuare l'acqua piovana la raccolgono in profondi laghetti; tombini appositamente piazzati troppo alti rispetto al piano, troppo piccoli e radi; risultato finale: continue riasfaltature, acqua scagliata dalle auto addosso ai passanti, scarpe piene d'acqua. Pessima qualità dei materiali: bordi dei marciapiedi che invece di essere le massicce ed eterne pietre di un tempo, sono fragili e mal fissati blocchetti di cemento, facilmente sbrecciabili e scalzabili.
Esempi:
Ingressi della metropolitana di Genova: i muri sono rivestiti con pietre tenere e friabili, già rotte pochi giorni dopo l'inaugurazione.
Piazza del Popolo a Savona: il rifacimento dei marciapiedi sotto i portici, invece di fare una spesa minima sostituendo le lastre di pietra ruvida lesionate (piazzate 110 anni fa) e lasciando lo splendido piano esistente, con una spesa enorme si è rifatto detto piano con pietra estremamente liscia, cosicché quando piove si forma una poltiglia scivolosissima, su cui non solo si cammina molto male, ma esiste il concreto pericolo di cadere. La piazza vera e propria, che ancora piange l'abbattimento della stazione Letimbro, è diventata uno squallidissimo parcheggio. Occorrevano lunghe file di platani che, piantati a suo tempo, adesso sarebbero già molto grandi e, adeguatamente potati curando la crescita dei rami orizzontali, avrebbero formato una splendida cortina di verde, generatore di ossigeno e divoratore di inquinamento; aiuole numerose, lampi di colore. Visti in Francia, impossibili a Savona. Discese dai marciapiedi per le carrozzelle degli invalidi: allucinanti e fatte con un sadismo degno di miglior causa. Invece di essere dolcemente raccordate all'asfalto, dette discese hanno spesso un gradino di quattro o più centimetri, assolutamente impossibile da superare; piastrellature già rotte dopo pochi giorni dalla posa.
Al suddetto, parziale elenco segue ora:
2) Arredo urbano misero.
Panchine brutte e fragili, assurde: basta vedere la nuova, catastrofica passeggiata di Corso Vittorio Veneto, con gli orridi cubi di cemento senza spalliera, e che riscaldati dal sole producono a chi si siede danni alla salute; questa passeggiata, insieme all'orrida pensilina di attesa dei bus è un esempio: tutti gli studenti (geometri, ingegneri, architetti) dovrebbero essere accompagnati a vederla e le scuole fare un corso intitolato: “Come non eseguire una passeggiata”; attirerebbe studenti da tutta Italia, stupiti da tanta bruttezza.
Esistono stupende panchine in ghisa fusa e legno, pattumiere adeguate ed eterne. Pensiline di attesa dei bus: sono un inno alla bruttezza e all'inefficienza; troppo piccole, fragili, pochi posti a sedere (spesso su panchine pericolanti e senza schienale). Tetti che non tengono l'acqua, basamento inesistente cosicché l'acqua piovana invade le scarpe della gente in attesa dei bus. Ciliegina sulla torta (si fa per dire): i video con l'indicazione degli orari o sono spenti, o indicano orari assurdi: una vera presa in giro per il cittadino.
Illuminazione pubblica: fatta troppo spesso con lampioni che hanno una resa minima perché la luce, invece di essere riflessa verso il basso si disperde in alto (inquinamento luminoso e spreco di soldi). Esistono in commercio splendidi lampioni in ghisa fusa, perfettamente inseribili in un contesto ottocentesco o addirittura medioevale.
L'elenco del brutto può tristemente continuare con la segnaletica e le insegne mal fissati e pericolanti dopo qualche bufera di vento che, come ormai si usa dire è “eccezionale” benché l'esperienza dica che sia il vento sia le piogge “eccezionali” non siano affatto tali, ma siano ricorrenti tutti gli anni. 3) Edifici fuori dal contesto delle città, senza proporzioni; a Savona basta vedere il lugubre complesso delle Ammiraglie, nero, stillante messaggi depressivi; il palazzo di Giustizia, monumento allo spreco, colabrodo termico, generatore di ansia e di malattie psicosomatiche, fragile di fondazioni, eterna manutenzione; l'asilo delle piramidi, il parcheggio del Sacro Cuore, Legino 167, il mercato di Piazza Bologna che verrà abbattuto dopo che per anni ha inondato di disagio psichico Villapiana. 
Altri drammatici esempi di come non si deve costruire sono il ponte nel porto vecchio di Savona e la nuova, allucinante stazione ferroviaria di Sanremo nella quale si è ottenuta una miscela esplosiva: massimo disagio per il viaggiatore unito ad una costruzione di rara bruttezza.
4) Abbattimento dei segni del passato: stazione ferroviaria Letimbro, mulino di Altare, centrale di Lavagnola, chiesa di San Francesco a Villapiana; gli splendidi edifici della Squadra Rialzo delle Ferrovie, situati tra il Letimbro ed il Palazzo di Giustizia, e che mai hanno ceduto sulle fondazioni, invece di essere ristrutturati per crearvi il centro bambini e ritrovo per anziani, verranno abbattuti e al loro posto verranno costruiti edifici di vetro e cemento in cui pioverà al primo acquazzone e saranno in eterna manutenzione.
Alcuni degli splendidi edifici che un passato preveggente ci ha consegnato vengono abbandonati: villa Zanelli, l'ospedale San Paolo di Corso Italia per il quale è stato presentato un progetto grottesco: scavo nelle fondazioni (sui pali di legno) con pericolo di crollo di tutta la struttura; sventramento per ricavarvi una strada dentro, come se le vie che lo circondano non fossero sufficienti; aggiunte di vele di vetro che nulla centrano con lo splendido edificio di Carlo Sada.
5) Furti e vandalismi: distruzione del museo Cuneo, furto della Madonna del '700 a Roviasca; scomparsa del museo del tesoro del Santuario. 6) Giardini: è diventato di moda l'abbattimento e la mutilazione degli alberi; qualunque architetto ritiene che il proprio progetto non sia completo se non prevede lo sfoltimento dei giardini, la feroce mutilazione degli alberi; il tragico è che l'Ente Pubblico avalla entusiasticamente lo scempio. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Qualche esempio: gli splendidi tigli di Via Verdi a Savona umiliati da sadiche capitozzature; alcuni sono stati abbattuti; feroce sfoltimento e abbattimento di alberi in piazza del Popolo; abbattimento di una quercia centenaria in contrada Orso a Quiliano; abbattimento di alberi centenari alle scuole Baccino di Cairo; abbattimento di alberi secolari ad Albissola, Finale, Alassio e, dovunque in provincia, è un tristissimo elenco di alberi abbattuti con le scuse più pretestuose.
Gli svincoli autostradali di Savona e di Altare, le superstrade potrebbero essere adornati da alberi e arbusti che richiedono una minima manutenzione; piracanta, cotonaster, agapantus, alloro, ulivo, cipresso, ginestra, tasso ecc. È inutile riempirsi la bocca di “buco nell'ozono” e “riscaldamento del pianeta” quando queste grandi aree vengono lasciate allo squallore, mentre potrebbero diventare oltre che bellissime, generatrici di ossigeno e divoratrici di anidride carbonica.
7) Durata interminabile dei lavori pubblici; anche questo contribuisce ad accentuare il messaggio depressivo.
Basta vedere alcuni casi positivi: il gigantesco e complessissimo cantiere del Teatro alla Scala di Milano completato in 30 mesi; il ponte in Francia, con piloni alti 340 metri, finito in 3 anni. La durata brevissima di questi lavori, paragonata all'assurda durata (a volte di più decenni) dei lavori italiani non può che generare sfiducia e ansia. Anche modesti lavori di rifacimento asfalto, fogne, illuminazione hanno durata smisurata, con la piena adesione del committente, cioè l'ente pubblico che già in fase di gara d'appalto prevede durate smisurate dei lavori, poi enormemente dilatate da revisioni, ricorsi, pretesti vari.
Non dimentichiamo i lavori bloccati per i conflitti di competenza tra i vari enti, di cui purtroppo l'Italia è maestra e che hanno effetti catastrofici sull'economia e sul morale.
8) Strade. Si parla tanto della salvezza della collina, ma per ottenerlo occorre un sistema efficiente di strade, che purtroppo non esiste. Basta percorrere la strada del Sassello per chiedersi per quale ragione non si è resa più larga detta strada con interventi minimi, non invasivi e poco costosi: allargamento di curve lato collina con piccole ruspe; costruzione di cunette di adeguata sezione, canali di smaltimento acqua grandi e molto inclinati; muretti rivestiti in pietra, piazzali con aiuole e alberi, panchine e fontane.
Lo stesso vale per tutte le strade della provincia che portano in collina alle frazioni che ormai sono fittamente abitate.
Conclusioni.
Dal parziale (e disperante) elenco di brutture sopra elencato si possono trarre alcune conclusioni:
non solo le amministrazioni pubbliche non creano il bello, ma sono le fondamentali protagoniste del degrado; i costi sono enormi: l'abbattimento di grandi alberi è costosissimo; i lavori fatti e rifatti, l'abbattimento di opere che hanno pochi anni (vedere mercato di Piazza Bologna, le cancellate fatte e abbattute del Prolungamento e di Piazza del Popolo, l'abbattimento del Mulino di Altare, la distruzione del museo Cuneo) hanno costi altissimi. Ne conseguono i fortissimi messaggi depressivi, ansiogeni, angoscianti: la vista dello spreco su cui il cittadino non può intervenire, la vista di edifici nati già malati (vedere Palazzo di Giustizia) la vista di cementi marci, di lavori sconnessi e mal fatti, di tetti che appena fatti perdono acqua ecc. ecc. generano una frustrazione difficile da combattere; gli appelli affinché il cittadino vada a votare cadono nel vuoto, perché il cittadino stesso si accorge di non poter influenzare la realtà che lo circonda; si accorge che alla severità con cui ha da fare quando esegue una modesta ristrutturazione di una sua casa corrisponde il totale arbitrio di cui gode l'ente pubblico quando costruisce (vedere Legino 167, lavatrici di Pegli, degrado dell'Ospedale San Paolo ecc.).
La vista del colore grigio ormai imperante, gli spigoli acuti respingenti (altro che comfort, altro che feng-shui) i cementi sbrecciati, la mancanza di finiture e di intonaci, le aiuole smorte (anziché essere lampi di colore euforizzante) aiutano le componenti depressive, rinunciatarie, stancanti. Il cittadino, allevato fin da piccolo alla vista della bruttezza, si abitua ad essa, non reagisce più a qualunque ulteriore bruttezza gli venga inflitta. Naturalmente esiste l'antidoto a tutto questo: la visita a belle strade, palazzi,musei e chiese della città; esistono i viaggi esaltanti, i meravigliosi libri d'arte e di poesia; esiste l'ascolto della musica, sia in casa, sia nei teatri.
Tutto questo è vero, ma sarebbe bello essere circondati dal bello: non è un'utopia, perché basta andare in qualche paese italiano che coltiva il bello o in città estere per vedere ciò che si può effettivamente fare per stare meglio.

IL VINO E LE SUE TERRE

Mediterraneo: i popoli che abitano le sue sponde sono i figli dell'olio e del vino dei fichi, del grano e dell'uovo. I fichi, il grano e l'olio sono alimenti; la loro importanza è estrema. I fichi perché sono dolcissimi, morbidi, nutrienti, squisiti quando sono freschi, meravigliosi quando sono secchi e si possono conservare a lungo, cosa importantissima quando non esistevano sistemi di conservazione; l'albero del fico nasce dappertutto, sulle pietraie infuocate, sulle ripe; non ha bisogno di cure e dona i suoi frutti con inesauribile generosità; questo frutto meraviglioso è da millenni e presso molti popoli il simbolo del sesso femminile, generatore della vita sulla terra. È diventato un frutto anche tipico, un simbolo meraviglioso.
Anche il grano è uno degli alimenti simbolo del Mediterraneo: il biondo grano che forma un meraviglioso mare di spighe, con la compagnia dei fiordalisi azzurri come il cielo, dei papaveri rossi come il sangue e contenenti la sostanza che dona il sacro sonno, che gli antichi Greci, grandi osservatori della natura umana e grandi creatori di simboli hanno personificato nel dio Ipnos; ancora adesso diciamo sonno ipnotico.
Il pane è confezionato con la farina: già il cerimoniale di molitura del grano è un avvenimento quasi magico, coi suoi misteri e il suo officiante, il mugnaio; e poi il pane, prodotto magico, fragrante, unico; non per niente, nell'Ultima Cena, Gesù benedisse il pane, rendendolo sacro per sempre nell'ostia consacrata.
Nel 33° canto dell'Inferno, Dante, raccontando la storia di Ugolino e dei due figli e i due nipoti, rinchiusi nella torre della muda a morire di fame di fame a Pisa dice:
“Quando fui desto innanzi la dimane pianger sentii nel sonno i miei figlioli ch'eran con meco, e dimandar del pane.”
Questo in seguito a uno dei sogni più potenti descritti nella letteratura occidentale, quel sogno funesto che Ugolino fece e gli squarciò il velame del futuro, cioè gli preannunciò la morte per fame dei giovani e la sua antropofagia.
Anche nel linguaggio comune la sacralità del pane è presente: si dice “guadagnarsi il pane”, e io e generalmente quelli della mia età, provano un rifiuto estremo a buttare via il pane, anche se raffermo.
Ricordo un fatto che si è ripetuto per molti anni e che non posso dimenticare; succedeva negli anni '60: un ragazzo, figlio di persone sbandate e che facevano la fame per colpa loro, ma facevano far la fame anche al figlio; lui entrava nel negozio del paese e implorava un pezzo di pane.
Un altro episodio mi è rimasto impresso: al tavolo di una sagra paesana, alcuni uomini mangiavano; a uno di questi cade un pezzo di pane; quest'uomo, sopravvissuto alla prigionia nei campi di concentramento, prese il pane da terra, lo baciò e sono sicuro che chiese perdono al destino per aver lasciato cadere il pane sacro.
Di nuovo gli antichi Greci, creatori prodigiosi del mito, raccontano che, quando in Grecia sorse una nuova città, gli dei si disputarono l'onore di darle il nome; quest'onore sarebbe spettato a chi avrebbe dato all'uomo il regalo più prezioso: Nettuno creò il cavallo, per il quale molto ci sarebbe da dire come animale archetipico; Atena donò all'uomo l'olivo e la vittoria fu sua; la nuova città si chiamò Atene e vennero Maratona, Salamina, la tragedia greca, la filosofia; quanti libri sono stati scritti sulla luminosa civiltà greca, della quale viviamo tutt'ora!
L'ulivo cresce dappertutto, sopporta il freddo e il caldo, dona generosamente il suo frutto magico, con le sue foglie grigie orna pianure e colline e, quando muore o viene brutalmente tagliato, dona un legno stupendo, unico per la tonalità, la compattezza, la bellezza.
Anche l'olio ha il connotato della sacralità; già nella Bibbia i re venivano “unti” dai sacerdoti, cioè consacrati con l'unzione rituale; Cristo vuol dire “Unto del Signore”.
Anche nel cristianesimo c'è “l'olio Santo”.
Un libro intero sarebbe necessario per descrivere l'olio come alimento, come medicina, come componente di medicine; la magia dell'olio non è una parola vana.
L'uovo: alimento perfetto, un concentrato di nutrimento, senza bisogno di aggiunte.
Ovviamente, cucinato nei tanti modi imparati nei secoli, diventa un boccone prelibato.
Ma anche la forma è perfetta e interi libri sono stati scritti su di essa: l'uovo è un simbolo universale per la forma e per la funzione.
Dall'uovo di gallina a quello del moscerino, da quello dello struzzo a quello del colibrì, a quello del pescecane, da quello dell'anaconda a quello della farfalla, in un piccolo volume è racchiuso l'universo.
Basta assistere alla nascita di un pulcino per vedere il miracolo della vita. Insomma l'uovo è bioforo (portatore della vita) è perfetto come alimento e come forma, è protagonista di innumerevoli leggende presso quasi tutti i popoli.
Dei quattro cibi simbolo del mediterraneo ho già parlato; di ciascuno il discorso andrebbe molto ampliato sotto tutti gli aspetti, aggiungendo altresì il pesce, prodotto dalla Madre – Mare mediterraneo; simbolo del cristianesimo, alimento meraviglioso, ma anche il mare incubatore di mostri, simbolo del liquido amniotico, temuto, amato, ruggente, invincibile.
Ma i popoli del Mediterraneo sono anche figli di un prodotto che è un simbolo potentissimo, ma che è avulso dalla realtà intesa come cibo: è il vino. Se guardiamo alla realtà, spogliata dalla poesia, dal simbolo, dal mito, l'uva e il vino hanno un peso molto modesto nella vicenda umana.
Ma se guardiamo uva e vino in un quadro globale tutto cambia, la realtà diventa un quadro di abbagliante bellezza.
Come un cofanetto pieno di diamanti, di smeraldi, di zaffiri, di rubini non appare nel buio, così lo stesso cofanetto illuminato dalla luce abbaglia gli occhi coi suoi stupendi colori.
La cappella degli Scrovegni, affrescata da Giotto, di notte è un antro buio; di giorno esplodono i colori di abbagliante bellezza: la luce è la madre dei colori.
Così la realtà dell'uva e del vino, vista alla luce del simbolo, del mito, della poesia, dell'emozione e della gioia, acquista una pregnanza straordinaria.
L'uva coinvolge i cinque sensi: vista, udito, gusto, tatto, odorato.
Vista: i filari carichi di uva sono una gioia da gustare con gli occhi; i grappoli turgidi, gli acini a forma d'uovo, simbolo universale come abbiamo già visto, la superficie lustra, vellutata, i colori stupendi: le uve bianche, nelle varie sfumature, dorate dal sole, a volte quasi abbrustolite; gli acini piccoli o enormi come per certe uve da tavola, più compressi o più radi, i grappoli o esposti nudi o rivestiti da foglie verdi, a volte intrecciati a qualche tralcio. Le uve nere, con sfumature bluastre, con gli acini rivestiti di cera, qualcuno scoppiato per la beccata di un uccello e che offre impudicamente le linfe. Sembra strano che tralci sottili possano produrre un'opulenza simile, con grappoli a profusione, morbidi, opulenti, sensuali.
Inoltre, l'uva raccolta è bellissima da vedere: nelle bigonce colme, nelle botti, nelle ceste; rallegra l'animo.
Anche sulla tavola, l'uva, magari mista ad altra frutta, colma di gioia gli occhi con la sua sontuosa bellezza.
Tatto: l'uva è fatta per la mani: morbida, fresca, rotonda, tenera, sensuale; gli acini adorabili da tenere tra le dita, non solo hanno la forma perfetta dell'uovo, ma ricordano i dolcissimi capezzoli dei seni della donna, quindi seni-uova, simboli di enorme potenza.
Ma il tatto è anche quello del contatto con la bocca: tenere un acino tra le labbra, mordicchiarlo teneramente, farlo rotolare in bocca avvolgendolo delicatamente con la lingua, oppure mordere golosamente un grappolo d'uva, frangere gli acini è un piacere paradisiaco.
Gusto: anche qui i superlativi si potrebbero sprecare; ogni tipo d'uva è di una squisitezza sublime: il moscato, l'uva fragola, l'uva da tavola; sono decine i tipi di uva, ognuna con un sapore squisito, unico e che dà una soddisfazione al palato veramente assoluta.
Non dimentichiamo la meravigliosa uva passa e quella essiccata: bontà da delirio.
Odorato: l'uva ha un profumo squisito, simile a quello dei fiori inebriante, dolcissimo.
Udito: anche l'udito è gratificato dall'uva: il frangere gli acini in bocca, o spremere i grappoli con le mani, o pestarli nelle botti per fare il vino, producono suoni che contribuiscono ad aumentare il piacere dell'uomo. Il fatto di prendere un morbido e bellissimo grappolo d'uva, portalo alla bocca intanto che si aspira il suo profumo, rompere gli acini coi denti, sentire il sapore d'ambrosia ci rende veramente simili agli dei.
Ma i sensi vengono anche sollecitati da altre cose attinenti all'uva.
La vendemmia è una festa per la vista dei grappoli che cadono tagliati nelle ceste, per l'udito con i richiami tra la gente, e, un tempo, per l'armonia delle canzoni; quasi tutti cantavano ed essere stonati era quasi una condanna; ci sarebbe da parlare a lungo sulla scomparsa del canto, questo dono divino. Si mangia l'uva, si toccano i morbidi grappoli, il profumo dell'uva, del fieno calpestato diventa inebriante.
Si entra infine nel mistero della cantina, con i suoi rituali magici: un tempo c'erano le luci delle lanterne a olio o le luci ad acetilene, le candele; adesso c'è la luce elettrica, ma la magia permane.
Si riempiono le botti, si provvede a pigiare l'uva: è uno dei bellissimi ricordi della mia infanzia, col mosto dolcissimo bevuto a bicchieroni, le mani appiccicaticce, la gioia pura, e la conclusione del rituale: mangiavamo la torta campagnola fatta da mia madre. Crollavo dal sonno per la stanchezza e l'emozione, ma si resisteva per non perdere nemmeno un minuto della festa, finché mi risvegliavo nel mio letto, portato da qualcuno. 
Passano i giorni, ma nella cantina vive una “creatura” fermenta il vino.
Quanto sapere hanno i contadini! Non è facile la loro vita, e conoscono moltissime cose, dalla semina all'aratura, dalla potatura delle piante alla raccolta, dai concimi agli attrezzi, dal bestiame al latte, dalla lana al formaggio.
Per fare il vino non basta pestare l'uva e produrre del liquido; occorre una sapienza acquisita nei secoli e tramandata di generazione in generazione. Alla fine il vino è pronto; c'è quello da lasciare nelle botticelle e quello da mettere nelle damigiane; c'è quello da imbottigliare e anche qui quanto sapere: l'industria vetraria che produce le bottiglie e le damigiane, la produzione dei tappi, la costruzione delle botti e delle bigonce, gli attrezzi necessari per le cantine. Ed ecco infine il vino, questo prodotto che per essere ottenuto richiede una quantità enorme di lavoro, è un trionfo del superfluo: da secoli si dice “Datemi il superfluo e farò a meno del necessario”.
Col vino tutti i cibi sono più buoni; il gusto e il profumo del vino, la cerimonia del bere, i vari tipi di bicchieri, i rituali sacri e profani.
Il vino è stato cantato dai poeti, dagli scrittori, dai musicisti, da millenni si celebra questo liquido inebriante; si cerca di descrivere le sensazioni che provoca, lo si canta nelle opere liriche.
“Viva il vino spumeggiante nel bicchiere scintillante come il viso dell'amante”.
“Libiamo nei lieti calici che la bellezza infiora” e via discorrendo.
Ma continua la festa dei sensi: entrare nel santuario della cantina, vedere le belle bottiglie allineate, prenderle, così lisce e tonde, sollevarle verso la luce per vedere i colori del liquido magico, l'acquisto di un prodotto frutto della fatica e della passione.
E infine la meravigliosa grappa, la sorella del vino; tanti sono i distillati squisiti, gli amari, gli wisky, le tequile e via dicendo, ma nessuno è come la magica grappa italiana; già bella nelle belle bottiglie, i colori ambrati e il profumo quando è versata nel bicchiere e si porta alla bocca, il gusto paradisiaco.
Non è un caso che il monte fatale del destino dell'Italia si chiami Monte Grappa, il baluardo, la difesa dall'invasione.
In tavola le bottiglie di vino, la gioia di versarlo nel bicchiere e, a volte, versato nelle grosse caraffe perché il contatto dell'aria ci doni tutto il suo profumo.
Il vino, proprio perché è un prodotto simbolico e di pura festa, va bevuto con rispetto.
Il cibo non va accompagnato con le tristi e fredde birre o con bevande industriali dolci; di dolce c'è il brachetto, la freisa, il lambrusco, il sangue di Giuda. L'Italia per fortuna è ricchissima di ogni varietà di vini, spumanti, vini dolci, grappe. Dai vigneti più alti d'Europa in Valle d'Aosta, ai vini sardi, al moscato di Pantelleria, all'Aglianico (nome che deriva da ellenico, cioè greco antico), al tocai friulano, di cui ci siamo lasciati togliere il nome senza protestare, dei vini trentini all'Orvieto, dal rosso Conero ai bianchi di Capri, si potrebbero riempire pagine e pagine di nomi di vini squisiti.
I vini vengono influenzati dalla storia: il vino liquoroso siciliano, un vero nettare, si chiama Marsala che vuol dire Marsa – Allah, la città di Allah.
I vini sudafricani prendono origine dai vigneti portati via dalla Francia dagli Ugonotti perseguitati e scacciati da Luigi XIV.
I vini sono figli della terra: in greco la parola autoctono vuol proprio dire generato dalla terra.
 
Nei secoli i vitigni hanno assorbito le sostanze tipiche dei terreni dove sono stati coltivati da tempi immemorabili; il clima, con le sue variabili di nebbia, vento, umidità, salino, ghiaccio ha dato il suo contributo a produrre vini unici.
 
Ma non la terra intesa come estensione agricola; proprio quella terza, quel comune in quella provincia, quella località che ormai in molte bottiglie viene indicata, assieme al nome del produttore. Ecco che noi beviamo proprio il prodotto autoctono, al figlio di quella madre terra.
Ma purtroppo, normative europee cervellotiche, masochistiche, autodistruttive, stanno distruggendo questo patrimonio maturato nei secoli: hanno stabilito che il nome del vino dipende esclusivamente del vitigno, dovunque esso sia coltivato. Perciò presto vedremo dolcetto delle Filippine o in Africa e dovunque; vedremo barolo messicano e via dicendo; i figli saranno strappati alla terra, non saranno più vini autoctoni, saranno i vini prostituta, non certo per colpa loro, ma per un intimo desiderio di farsi del male tipico dell'Europa, la quale, anche in altri campi, oppressa da un lugubre senso di colpa, sprofondante in un vergognoso piagnisteo, rinuncia alla sua identità culturale, religiosa, politica, artistica. Si parla di globalizzazione, ma bisogna precisare: è auto globalizzazione, ansia di sottomissione a un superio rigido che viene da fuori: le corali alpine, invece da cantare canzoni italiane, cantano jazz, o canti irlandesi o polinesiani ecc.; aboliamo il dialetto con sadico accanimento, pendiamo la cadenza (o “coccina”); negli ospedali mettiamo indicazioni in inglese, giustamente incomprensibili alla grande maggioranza delle persone; accettiamo con gioia che usanze atroci di altri popoli vengano praticate nei nostri paesi: così la mostruosa mutilazione genitale femminile non solo viene praticata in Europa, ma molti europei si specializzano per praticarla su migliaia di bambine: è un'aberrazione del rispetto del “diverso”, che sta appunto distruggendo l'identità europea. Così, giustamente, è logico che anche i paesi stranieri abbiano il proprio dolcetto il proprio Erbaluce, il proprio moscato di Pantelleria, la propria Falanghina, il proprio Cannonau. Basta con i privilegi dell'Europa colonialista.
Il masochismo antropologico dell'Europa meriterebbe un lunghissimo discorso, ma per rimanere al vino, presto, col cuore stretto dall'angoscia vedremo sulle nostre tavole il dolcetto straniero: sono di orrida moda il “prezzo concorrenziale”, la “pluralità di scelta”, “l'apertura mentale”.
Così, con assoluta indifferenza mangiamo il prosciutto Saint Daniel, il Parmesan, il Combozola: ripeto che, giustamente non dobbiamo avere privilegi anacronistici. Ma per ora godiamoci i nostri meravigliosi prodotti alimentari.
Tra mangiare e mangiare con piacere c'è un abisso: un conto è buttare giù del cibo in gola, spezzarlo coi denti e inghiottirlo producendo un grave danno all'organismo: il senso di soddisfazione del gusto non esiste, il cibo arriva allo stomaco in grossi pezzi, non intriso di saliva, non sminuzzato, non pieno di ptialina; i succhi gastrici fanno fatica a digerire il cibo, il quale passa nell'intestino; i villi cercano di trarre il nutrimento da questo ammasso, ma ne traggono solo pochissimo vantaggio; questo cibo gonfia la pancia e lo stomaco, non nutre, produce alito cattivo, sonnolenza, irritabilità, debolezza fisica. Poi, buttando via l'85 per cento del nutrimento, prendiamo gli integratori; biasimiamo le multinazionali, ma siamo noi stessi ad arricchirle inghiottendo quantità mostruose di zinco, sodio, potassio, ferro ecc. ecc. ecc.; la pelle si squama e la copriamo con costosissime creme, gli occhi sono spenti ma li circondiamo di trucco; l'alito è cattivo, ma prendiamo in carbone, non dormiamo bene ma prendiamo i sonniferi e cerchiamo materassi costosissimi.
Tra l'altro non masticando il cibo diventiamo grassi e flaccidi e poi andiamo a pagare il dietologo perché ci faccia dimagrire: diventiamo più magri, più flaccidi, più aggressivi, più spenti, più poveri: veramente surreale e deprimente.
Troppo spesso mangiamo in ipnosi: al bar, in piedi, di fretta e colmi di aggressività trangugiamo un caffè senza sentire il sapere, senza sentore la gioia del prodotto squisito.
Un altro masochismo a tavola è quello dell'utilitarismo; è giusto essere informati suoi benefici che i vari alimenti arrecano all'organismo, ma l'orrida litania che troppo spesso si sente su tavoli è veramente agghiacciante: naturalmente prevalgono i riferimenti escrementizi e non voglio dilungarmi sull'argomento; ma certo crolla il piacere di mangiare; il cibo viene visto come un nemico, mangiato per necessità, attentare della linea, produttore di colesterolo, produttore di brufoli, avvelenatore del fegato ecc. ecc. ecc.
Occorre essere magri, dimenticando che milioni di persone nel mondo sono scheletriche perché hanno fame; stiamo alterando la sacralità della parola; la donna formosa è diventata robusta, il cibo puzza: puzza di uova fritte, puzza di bollito ecc. Proiettiamo la negatività che abbiamo dentro su quello che ci circonda, crolla la “festa”.
Allora bisogna introdurre il concetto antropologico di festa. Festa è dentro di noi e basta un fattore esterno scatenante a sciogliere le emozioni, a far esplodere la gioia. Non c'entra con la ricchezza o i grandi mezzi. Se siamo gonfi di festa compressa dentro di noi, se siamo colmi di gioia basta un niente a farci contenti.
Io ho sessanta anni e sono contento di aver visto più volte questo tipo di festa; ad esempio, per dei compleanni, ho visto suonare con un pettine accostato alla bocca, con una foglia di dente di leone, oppure imitando con la bocca, con abilità stupefacente la chitarra e il violino; un uomo suonava il tamburo battendo con le nocche sul tavolo, un altro si batteva con le nocche sulla testa e, tenendo la bocca aperta suonava intere canzoni; c'era chi, in due bottiglie, introduceva nel loro collo forchette e cucchiai e scuotendole otteneva un suono armonioso. Le coppie ballavano con gioia al ritmo di queste “orchestre” che ormai stanno scomparendo.
Naturalmente occorrerebbe un lungo trattato di antropologia per descrivere le feste; basti però dire che un tempo c'era tanta festa “dentro” l'uomo per cui bastava un niente a divertirsi, mentre oggi c'è tantissima “festa” fuori ma pochissima dentro; prevale l'accidia, lo scontento; vengono nelle città grandi complessi, con attrezzature colossali, gruppi elettrogeni, riflettori, gru, palchi, scenografie ecc. Gli spettatori urlano, ma sono scontenti; non c'è molta gioia dentro di loro.
Questa accidia che si è instaurata negli ultimi tempi, ha origini complesse, che sarebbe troppo lungo descrivere; sta di fatto che prevale troppo l'accidia, lo scontento; tutto ciò provoca “l'ottundimento della percezione”, cioè i sensi sono ottusi, inibiti a recepire con forza le sensazioni. La musica deve essere assordante perché non è recepita da tutto l'essere, ma solo dai timpani; il mangiare deve essere pepato o comunque reso piccante perché il gusto viene recepito dalle papille gustative e non dall'essere, come detto sopra.
Gli spettacoli da vedere, in senso lato, come un bel fiore, il cielo azzurro, il mare e tutto ciò che di bello esiste attorno a noi, ci lascia indifferenti; serve il parossismo delle sollecitazioni: ecco perciò il successo di certe trasmissioni in televisione, gli urli, gli insulti, il turpiloquio, la sguaiataggine, che hanno tanto successo.
Nelle discussioni prevale l'urlo, l'insulto, l'uccisione simbolica dell'avversario, che va posto tra i non umani, i pazzi, gli ignobili.
Nelle partite di calcio, un semplice goal provoca denudamenti, baci sulla bocca, inginocchiamento, urli isterici: veramente disgustoso.
Non per tutti è così, ma il fenomeno è troppo diffuso e provoca malessere, indipendente dai fatti oggettivi e, cose molto più grave, provoca un rifiuto all'azione purtroppo diffusissimo: non fare niente per nessuno, né beneficienza ne interventi per facilitarne la vita altrui.
Vorrei finire con un accenno alla mia vita: ho sempre saputo di essere un uomo fortunato e più invecchio più lo sento; pur con le batoste della vita, il destino mi ha premiato con un dono meraviglioso: la capacità di apprezzare la bellezza in tutte le sue manifestazioni: arte, musica, poesia, sport, affetto, lavoro; ora mi sto divertendo a scrivere questo racconto; vivo nella meravigliosa Italia, libera e democratica, madre di artisti, musicisti, scrittori, madre di vin, di cibi e mia madre, di cui sono un figlio adorante.
Mi piace tutto e qualcuno, credendo che io non senta, mi chiama sempliciotto o, addirittura, e scusate la parola, coglione. Ma io gli cito il famoso detto di Orazio: “In vino veritas, aurea mediocritas”.

CONOSCERE, CAPIRE E AMARE L'ITALIA

Sterminata è la letteratura che riguarda l'Italia, sotto qualunque aspetto la si voglia studiare.
Per ogni aspetto (quello geografico e fisico, o quello della storia dei popoli, o ancora le invasioni, la flora, la fauna, la musica, la letteratura etc.) sono stati scritte certamente molte migliaia di libri.
Tuttavia, se si vuol comunicare a qualcuno che conosce l'Italia solo come nome di nazione o per esserci stato di passaggio le caratteristiche del nostro Paese, occorre effettuare una sintesi, cosa non facile data l'estrema complessità dell'argomento.
Cominciamo dall'Italia come territorio: emerge subito che si tratta di un Paese colmo di contrasti e come tale variegato ed affascinante.
Mentre il Ponente s'incunea sotto la Svizzera, la penisola pugliese è sulla longitudine di Budapest; il Nord arriva all'altezza di Losanna e di Ginevra verso Ovest, mentre arriva quasi all'altezza di Budapest e di Odessa verso Est.
A Sud, con Lampedusa siamo all'altezza di Casablanca e di Baghdad.
La famosa forma dell'Italia, slanciata e sottile, fa sì che tutti i paesi siano vicini al mare; l'estensione enorme delle sue coste permette l'avvicinamento delle navi ai punti di carico e scarico delle merci, e cosa ancora più importante, ha permesso lo scambio di cultura con gli altri popoli, realizzando un'osmosi di informazioni unica nella storia dell'umanità. La velocità con cui viaggiavano le notizie e la cultura erano grandissime rispetto alla velocità di propagazione via terra.
Tuttora parliamo con l'alfabeto fenicio, usiamo la filosofia greca; greche e perciò venute dal mare sono le grandi tragedie, l'abbagliante mitologia, e soprattutto la parola: occorrerebbe un trattato intero per illustrare le parole greche che tuttora usiamo e che hanno una forza di sintesi ineguagliata, ad esempio sintesi, analisi, antropologia, cartomante e centinaia d'altre. Usiamo parole e numeri arabi, pensiamo romano ed ebraico. La collocazione geografica dell'Italia comporta variazioni climatiche notevolissime: dai giganteschi ghiacciai delle Alpi, alle nevicate di vari metri di altezza con temperature di 45°C sotto zero e terribili valanghe, si passa alle paludi siciliane con le pianta del papiro. Un singolare contrasto esiste ad esempio in Liguria, dove, alla dolcezza del clima rivierasco si unisce un rigido clima alpino: a Calizzano e ad Urbe (provincia di Savona) sono state registrate temperature inferiori a 26°C, con nevicate di vari metri; non a caso gli Alpini facevano qui i loro campi invernali; queste due località sono, in linea d'aria, a pochi chilometri dal mar Ligure.
In Abruzzo c'è il ghiacciaio più meridionale di tutta l'Europa e terribili sono le nevicate ed il freddo abruzzesi; in Calabria, sull'Aspromonte, assieme alle grandi nevicate si sono registrate temperature inferiori ai 23°C.
Ad Aosta, durante il periodo estivo, il termometro è arrivato a 38°C, mentre a Genova nel 1994 un ciclone con vento a 150 km/h ha rovesciato enormi gru portuali.
La città più fredda d'Europa è Potenza.
Questo breve elenco basta a far capire come in una stessa regione si possa passare dal clima alpino al clima tropicale.
La forma stessa dell'Italia contribuisce alla varietà di luoghi più unica che rara, con lunghissime spiagge affiancate ai monti che scendono a picco sul mare, con decine di isole, con centinaia di laghi, come quelli alpini o come Lesina a Varano in Puglia, come pure i laghi artificiali creati dalle dighe: basti citare il lago Omodeo in Sardegna, lungo 20 km. 
Montagne altissime come il monte Bianco, il monte Rosa, il Bernina, il Gran Sasso, l'Etna si accompagnano a grandi pianure, di cui alcune hanno dovuto essere bonificate, tanto il loro livello era basso.
L'Italia è l'unico Paese in Europa, salvo l'Islanda, ad avere vulcani attivi, con tutti gli impressionanti (ed a volte pericolosi) fenomeni che ne conseguono. Sono presenti i soffioni di Larderello, i bradisismi campani, i fenomeni carsici in Friuli e non solo: l'Italia è anche ricchissima di siti termali.
Enorme è la quantità di grotte, come quelle di Postumia lunghe 30 km, quelle di Bossea in provincia di Cuneo, quelle di Toirano e Borgio Verezzi in provincia di Savona e moltissime altre.
La flora italiana comprende centinaia di specie, come possiamo osservare ovunque, dalla tundra della Alpi al papiro siciliano, dal fenomeno impressionante delle risaie agli alberi colossali: quasi ogni località d'Italia ha un albero gigantesco, come quelli sul lago di Como, le farnie friulane, i pini loricati in Calabria, la sequoia dell'Oasi Zegna in provincia di Biella. L'albero più grande d'Italia è il Ficus del giardino botanico di Palermo, i sugheri della Sardegna, gli ulivi pugliesi, i faggi di Mallare (Savona).
L'uomo ha poi piegato la natura alle proprie esigenze, sia funzionali sia estetiche, creando campi e risaie, boschi cedui e soprattutto giardini unici al mondo, come i giardini botanici (stupefacenti quelli del lago Maggiore, di Como e di Garda); il giardino di Boboli a Firenze, Ninfa, Caserta, Monza e moltissimi altri.
La capacità di acclimatazione di piante esotiche è stupefacente: in Liguria, dove una volta c'erano aride colline sono stati creati i giardini Hambury (Ventimiglia), il parco Pallavicini a Pegli, i parchi di Voltri e Nervi a Genova e così via.
Anche la fauna presenta una vastissima gamma di specie, sia da allevamento sia allo stato brado; solo in Sardegna troviamo il muflone, il cavallo selvaggio, i fenicotteri, il cervo, la foca monaca; troviamo l'orso in Trentino e nella Marsica. Alcuni animali sono unici in Europa: i bufali nel Sud d'Italia, la lucertola ocellata lunga un metro a Finale Ligure (Savona), i siluri di 120 kg del fiume Po.
Abbiamo serpenti lunghi fino a 2,60 m, il mastino napoletano, il cirneco dell'Etna, il toro della Val di Chiana di 1.470 kg (visto alla Fiera di Verona), la scrofa di 606 kg, il verro di 530 kg, il montone bergamasco di 146 kg, il gatto selvatico lungo 1,20 m, alto 40 cm e pesante 8 kg.
L'elenco sarebbe lungo e va completato con i pesci di fiume e di lago, i pesci del mare, le balene, i delfini e molte altre specie.
Il paesaggio italiano, già stupendo per sua natura, è stato ovviamente cambiato dall'uomo, che da millenni coltiva i terreni in mille modi diversi; anche con l'uso utilitaristico del territorio è stata creata la bellezza, nella sua accezione più ampia.
In Piemonte, Lombardia ed Emilia con lo spettacolo suggestivo delle risaie; in Liguria con i terrazzamenti sono stati spostati milioni di tonnellate di pietre per creare i famosi muri a secco, capolavori di ingegneria come resistenza e drenaggio delle acque.
Ritorniamo al Piemonte con le colline delle Langhe coltivate in modo che, con viti, grano, filari, muri è stato creato un paesaggio di inesprimibile grazia. Ogni regione d'Italia, coltivando ha creato la bellezza; in millenni di sapiente lavoro, adattandosi all'ambiente, modificandolo saggiamente l'uomo ha ottenuto il risultato grandioso di ottenere fecondità e bellezza da un territorio spesso difficile.
Per fare ciò sono state create opere grandiose, come le bonifiche delle paludi, i navigli lombardi che costituivano il sistema di navigazione fluviale più esteso d'Europa;
E un'opera soprattutto è vanto dell'Italia, pur se sconosciuta alla maggioranza delle persone: parlo del sifone del Sesia, opera costruita in due anni dal 1861 al 1863 e che sbalordì il mondo: il canale lungo 85 km e soprattutto il sifone lungo 254 m che passa sotto il fiume Sesia, fiume dalle piene impressionanti e che trascina grandi blocchi di ghiaccio; il sifone solo recentemente è stato sottoposto a manutenzione, dopo 120 anni di uso senza che avesse il minimo inconveniente.
A questo proposito occorre chiarire il ruolo dell'Italia come nazione dell'industria pesante; per troppe persone l'Italia è solo fiori, canzoni, pizza… Certo è presente questo aspetto, ma non dimentichiamo quello principale: ricollegandomi alle modifiche effettuate dall'uomo sul territorio, ho parlato del sifone del Sesia e del lago Omodeo; l'Italia ha costruito dighe grandiose, nei luoghi più impervi, ottenendo preziosa energia elettrica, disciplinando il deflusso delle acque a scopo irriguo e tutto ciò in modo pulito e silenzioso, svincolandosi in parte dalla dipendenza energetica dall'estero e risparmiando valuta pregiata. L'Italia ha costruito in Africa la diga di Kariba e in Turchia una diga in un luogo tanto caldo che, per gettare il cemento, si doveva raffreddare l'acqua con blocchi di ghiaccio.
L'acquedotto pugliese è il più grande d'Europa. L'Italia ha costruito recentemente il Sea Bridge in Danimarca, il ponte secondo al mondo per lunghezza; la campata centrale è lunga 1624 m, mentre la lunghezza totale del ponte è di 6800 m. I piloni principali sono alti 254 m. Le strutture di acciaio sono state costruite a Taranto, assiemate in Francia e, tenendo conto che sono lunghe 193 m, sono state portate vicino ai piloni alti 65 m sul livello del mare per mezzo di gigantesche chiatte. Attraverso carriponte titanici e giganteschi pontoni le strutture preassiemate sono state sollevate e posate sui piloni, sfidando anche le difficoltà dovute al mare mosso. Un'opera di incredibile audacia è stata compiuta dall'Italia e cioè la riduzione della pendenza della Torre di Pisa.
Il nostro Paese, uscito dalle gloriose guerre del risorgimento e finalmente unito, partiva estremamente svantaggiato rispetto alle altre nazioni, sia per vicende storiche, sia per la mancanza di materie prime. Proprio allora l'Italia seppe dimostrare la sua forza e il suo coraggio realizzando imprese che sbalordirono il mondo, tra le quali la galleria del Frejus lunga 13 km, costruita tra il 1862 e il 1874; la galleria è tuttora in funzione, ma all'epoca della costruzione nessuno credeva nel buon fine dell'impresa, sottovalutando la base ferrea e determinata dell'italiano: l'opera fu compiuta anche grazie alla perforatrice pneumatica messa a punto dall'ingegnere Sommeiller.
Furono realizzati anche, subito dopo l'unità d'Italia, i grandiosi bacini di carenaggio di La Spezia, con muri spessi 4 metri, utilizzando calce e pozzolana e ottenendo un legante più tenace del cemento; basti dire che gli Inglesi, che certo si intendevano di opere portuali, rimasero stupefatti davanti a quest'opera.
Furono eseguite bonifiche grandiose e soprattutto fu costruita una eccezionale rete ferroviaria, in un Paese che presenta grandi difficoltà, per questo tipo di realizzazioni: estremamente montuoso, con scarsa portanza del terreno e difficoltà di drenaggio; tuttavia tutti gli ostacoli furono superati, con ponti e gallerie di meravigliosa solidità, tuttora in uso e che hanno sfidato decenni di pioggia, neve e gelo.
Per avere un'idea dei prodigi di ingegneria realizzati, occorre visitare alcune linee ferroviarie particolari, che tuttora destano la nostra ammirazione: ad esempio la linea Limone Piemonte-Ventimiglia, la linea Domodossola-Locarno, la Porrettana.
Basta guardare i ponti ferroviari alti 57 m costruiti per la linea Genova-Alessandria per restare allibiti dall'ardire di maestranze e ingegneri; il cemento armato ancora non esisteva e i calcoli delle strutture, tenendo conto delle molte condizioni di carico erano complessissimi e non esistevano calcolatori. Ma dovunque in Italia ci sono vere e proprie opere d'arte, dai possenti muri di contenimento alle gallerie più lunghe del mondo come il Sempione e il Gottardo, ai ponti di ferro sui fiumi, alle magnifiche stazioni come quelle di Ceva (CN), costruita sui pali. Anche nella costruzione di autostrade l'Italia ha costruito grandi opere: il viadotto più alto d'Europa (140 m) si trova sull'autostrada Genova-Alessandria.
Furono costruiti e ammodernati i porti, come quello di Genova, con moli aventi i massi di fondo pesanti 60 tonnellate l'uno. Nei porti funzionano gru colossali, come quelle di Vado Ligure, pesanti cadauna 1000 tonnellate, alte 86 m, scorrevoli su 36 ruote d'acciaio di un metro di diametro e capaci di sollevare 40 tonnellate con uno sbraccio di 40 m; l'Italia è la seconda costruttrice del mondo di questo tipo di macchinari. 
L'Italia è povera di materie prime, tuttavia lo Stato si rivelò un imprenditore accorto: nelle località più sperdute, dovunque ci fossero minerali utili furono realizzate miniere; solo nel sud della Sardegna le gallerie raggiungono la lunghezza di 400 km. Tante miniere, ormai dismesse, sono ora visitabili dai turisti che, con i vagoni a scartamento ridotto, vengono portati ad ammirare queste opere, a rendere omaggio al coraggio e alla capacità di lavoro e di intelletto dei nostri antenati di un tempo ancora molto vicino a noi.
Tra le fortune dell'Italia c'è quella della pietra: fin dall'antichità i Romani estraevano marmo dalle cave di Carrara, ma erano maestri nello sfruttamento delle cave, dovunque si trovassero.
Questa tradizione non è mai venuta meno: in tutte le località d'Italia si trovano cave sia di marmo, sia dei più svariati tipi di pietra da costruzione. Ad esempio la pietra di Luserna, i graniti di Sardegna, l'ardesia di Lavagna, materiale che è presente che in tutti i tavoli da gioco da biliardo.
Interminabile sarebbe l'elenco dei tipi di pietra, alcuni di straordinaria bellezza, con venature e riflessi particolari, sfumature abbaglianti, disegni incredibili.
Per lo sfruttamento delle miniere e delle cave furono realizzate centinaia di km di ferrovie a scartamento ridotto, ora purtroppo abbandonate in parte; ascensori, montacarichi, funivie come quella che portava il minerale di ferro da Cogne allo stabilimento di Aosta.
Furono inventati congegni dove rifulse l'ingegno italiano, e molti sono tuttora in uso.
A proposito di funivie, l'Italia possiede quella più lunga del mondo: a Savona il carbone viene trasportato a Cairo Montenotte tramite una funivia lunga 18 km; essa supera un dislivello di 520 m e ha una portata di 9000 tonnellate al giorno; è stata costruita in due anni nel 1912 e raddoppiata nel 1935; il cavo portante ha un diametro di 70 mm.
Basti pensare al traffico occorrente di autocarri su strada per fare la stessa portata: spaventoso inquinamento ambientale, costi elevatissimi ed eventuali stragi per incidenti.
L'Italia è una grande costruttrice di navi. Il mitico Rex, l'Andrea Doria furono costruiti a Genova; tuttora a Genova si costruiscono grandi navi e gigantesche piattaforme petrolifere. A Monfalcone si costruiscono le navi passeggeri più grandi del mondo, lunghe 270 m, e capaci di trasportare 5000 persone tra passeggeri e uomini dell'equipaggio.
Inoltre l'Italia è la seconda nazione al mondo per la cantieristica da diporto (Baglietto, Wally, Rodriguez e decine di altri).
Quando si parla di acciaierie si pensa subito alla Ruhr, alla Lorena, a Pittsburgh, a Manchester; tuttavia l'Italia è un Paese di grandi acciaierie; nella tecnologia dell'altoforno ha raggiunto livelli di assoluta eccellenza: l'altoforno che, in tutto il mondo, ha avuta la vita più lunga è uno di quelli di Taranto, tredici anni di funzionamento ininterrotto.
Questi forni provocano un indotto enorme: dai giganteschi laminatoi che producono lamiere, ai forni elettrici, che sono il tramite tra la ghisa prodotta dall'altoforno e l'acciaio prodotto dai forni elettrici stessi; questi ultimi hanno bisogno di enormi quantitativi di materiali refrattari, di filtri giganteschi, di tubazioni enormi.
L'iperbole è necessaria quando si parla di acciaierie, dove tutto è smisurato; tutti i cittadini dovrebbero visitare le acciaierie, per vedere brillare l'ingegno italiano, per vedere il valore degli operai addetti: sono come soldati al fronte, in prima linea di fronte alle responsabilità e al pericolo; finché c'è gente simile non c'è nulla da temere.
I forni elettrici hanno bisogno di elettrodi enormi: la carica del forno, l'innesco dell'arco tra gli elettrodi ed il rottame, la colata di acciaio sono spettacoli indimenticabili per chi li ha visti; anche qui comitive di cittadini dovrebbero assistervi.
Quanto detto per le acciaierie vale per le centrali elettriche, le industrie chimiche, le fonderie, le miniere; la civiltà moderna di cui troppe volte si vede l'aspetto “televisivo” si appoggia sul possente substrato industriale: “riti misteriosi” vengono officiati nelle fabbriche, dove la capacità e l'ingegno italiani hanno portato la nostra nazione ai primi posti a livello mondiale.
L'Italia ha costruito acciaierie enormi a Isfahan in Iran, a Voliskj in Russia, in Brasile e il tutto il mondo.
Faccio un passo indietro per riallacciarmi ai miracoli compiuti dall'Italia: quello della Prima Guerra Mondiale.
Oltre all'incalcolabile valore dei soldati, furono realizzati prodigi di ingegneria: centinaia di km di trincee, funivie, fortezze, ponti di barche, postazioni di cannoni in posizioni incredibili. Rifulse il leggendario Genio Militare per cui nulla è impossibile. 
Molto sono le industrie in cui l'Italia brilla nel mondo: le vetrerie, le cartiere, le macchine per la maglieria, gli occhiali, le macchine utensili, l'industria delle piastrelle (lo Shuttle è rivestito di piastrelle prodotte a Sassuolo), le automobili, le macchine movimento terra, gli autocarri, l'industria ferroviaria in genere (l'Ansaldo ha costruito la metropolitana di Copenhagen), la rubinetteria; le moto italiane sono esportate in tutto il mondo; i cavi sottomarini più impegnativi sono Pirelli; la nave più grande per le ricerche petrolifere, la “Micoperi”, con due gru della portata di 14.000 tonnellate è italiana. Il Pendolino è un treno acquistato da tutti i Paesi per la sua capacità di superare ad alta velocità curve di raggio limitato su ferrovie esistenti.
Ricordiamo l'industria delle armi (la più antica azienda europea è la Beretta), dei gioielli, della lavorazione dell'oro e del corallo, delle pietre dure, delle scarpe vendute in tutto il mondo (Tod's, Ferragamo).
Ci sono poi industrie di grande prestigio nell'ambito dei filati (Zegna, Loro Piana) e della confezione (Armani, Gucci, Dolce & Gabbana), pelletterie, orologi da campanili (Trebino di Uscio a Genova), aerei, fonderie artistiche, campane, vetri di Murano (città in cui sono stati costruiti i lampadari della più recente mosche di Casablanca. Essi hanno un'altezza di 11 metri ed un diametro di 7 metri).
C'è poi un artigianato di altissimo livello tipo quello del legno di Aosta, che crea veri e propri capolavori, la sorprendente filigrana di Campo Ligure a Genova, i merletti, i ricami, l'arte del corallo, la produzione di strumenti musicali (il più grande produttore di arpe è in provincia di Cuneo).
L'Italia è la nazione delle ceramiche, prodotte quasi in ogni regione e risalenti a tradizioni antichissime; occorrerebbero diversi libri per illustrare la straordinaria varietà di forme, di colori, di paesaggi dipinti. Vedere le ceramiche di Albissola (Savona) le maioliche di Capodimonte, le incredibili stufe piastrellate di Castellamonte, le ceramiche di Bassano e tutte le altre. Ci sono poi industrie che rallegrano il mondo, come quelle delle fisarmoniche, costruite a Recanati, a Castelfidardo, ad Asti, a Stradella e suonate in tutto il mondo.
Tantissime sono le invenzioni e scoperte dovute al genio italiano: quando ad esempio si guarda qualcosa con un binocolo occorre ricordare che dentro c'è il cosiddetto “prisma di Porro”, e tante altre da diventare un elenco prestigioso ed interminabile.
Continuando a guardare l'Italia nel meraviglioso caleidoscopio, quante cose nel mondo sono italiane!
Il linguaggio della musica (allegro-vivace, andante con moto, ecc.), le opere, le musiche classiche e le canzoni; 
purtroppo quasi sconosciuto è il ricchissimo folklore italiano, che risale a secoli addietro e ha creato canzoni di straordinaria bellezza (vedi “Maremma” e altre meravigliose melodie), la canzone napoletana, il trallallero genovese che per fortuna sta rinascendo; le canzoni nate da avvenimenti storici come il Risorgimento (Addio mia bella addio); le struggenti canzoni della Prima Guerra, sia di esaltazione, sia di conforto, sia di ribellione (la tragica e bellissima “Gorizia”);
le canzoni del lavoro, delle epopee contadine e degli emigranti, fino ad arrivare alle canzoni della Resistenza.
Ci sono ancora i cantastorie e i meravigliosi cantautori italiani che arrivano all'altezza della poesia (De Andrè e altri). I teatri italiani sono famosi nel mondo, per il balletto e le opere, i concerti, le commedie; nei teatri greci e romani (Arena di Verona) gli spettacoli sono straordinari.
L'arte è certamente l'argomento più conosciuto in tutto il mondo; l'Italia come scrigno d'opera d'arte; l'arte italiana in tutto il mondo: se tutte le opere d'arte italiane tornassero in Italia, non basterebbero venti grandi musei a contenerle.
Arte preistorica, incisioni rupestri (i Camuni), dolmen, menhir, galgal, cromlech. Arte etrusca, straordinarie necropoli; arte della Magna Grecia, di Roma repubblicana e imperiale, arte bizantina, longobarda, angioina, sveva e soprattutto araba; la civiltà araba ha lasciato segni importanti nella civiltà italiana come arte, usi e costumi, parole (ammiraglio, dogana, zenit, nadir, azimut, ecc.), nomi di città (Marsala: Marsa Allah, la città di Allah).
L'arte che ha creato edifici veramente unici, come la cupola di Michelangelo, la cupola del Brunelleschi a Firenze, pesante più di 40.000 tonnellate ed innalzata senza centine, il Colosseo, la Mole Antonelliana a Torino, la reggia di Caserta, la torre di Pisa. È quasi sconosciuta la cupola ellittica più grande del mondo: si trova a Vicoforte San Michele di Mondovì (CN). Il faro di Genova è il terzo al mondo per altezza, dopo quelli di Amsterdam e di Kobe: è alto 115 m sul livello del mare ed ha una portata di 50 km.
Ci sono le città del sogno come Venezia, Ferrara, Mantova, città levantine come Genova col centro storico più grande d'Europa e le mure lunghe 19 km (anche queste record europeo).
C'è l'arte militare, con i forti colossali costruiti dal piccolo Piemonte Sabaudo, come Fenestrelle con la sua scala di 3.600 scalini, come l'impressionante forte di Exilles e come quelli di Bard. Molti forti, costruiti in posizioni incredibili, hanno una dignità costruttiva di ottimo livello.
È impressionante la rete di gallerie di contromina di Torino, lunga parecchi km. Anche qui l'elenco è lunghissimo, arricchito di castelli medievali costruiti in tutta Italia.
Il mare italiano è bello, affascinante, ma non basta: sotto al mare c'è il ricchissimo mondo dell'archeologia subacquea, c'è il mondo delle saline, ci sono le grotte marine come la Grotta Azzurra a Capri, la tonnara di Camogli (Genova), le tonnare del Sud, la mattanza (parola spagnola) comandata dal raiss (parola araba), le anfore di Albenga (SV), i relitti di navi. Ci sono le terribili tempeste mediterranee, le Bocche di Bonifacio, l'onda lunga di Punta Chiappa vicino a Camogli, Scilla e Cariddi nello stretto di Messina, gli abissi di 5.200 m, gli Dei del Mediterraneo nelle loro personificazioni benevole, sensuali, o terrificanti, creati dalla fantasia abbagliante e fertile a causa del mare e dei suoi anfratti.
I popoli mediterranei sono figli dell'olio, del grano, del fico e della Fenice (dattero). Bevono il vino, nettare degli Dei e a questo proposito l'Italia farebbe impazzire l'Olimpo, con la sua straordinaria varietà di vini, da quelli valdostani prodotti dai vigneti più alti d'Europa per arrivare allo zibibbo di Pantelleria; occorrono vari libri per illustrare tutte le varietà, arricchite da moscato, vini liquorosi come il Marsala famoso nel mondo, liquori veri e propri creati da qualche intuizione geniale (Barolo Chinato, amaro Braulio di Bormio, amaro di Sassello, Fernet e moltissimi altri).
Si passa ai distillati, le famosissime grappe bevute in tutto il mondo (vedi la grappa Levi di Alba, le grappe Berta, Barile, Nonino e molte altre). Non è un caso che il monte fatale del destino dell'Italia si chiami Monte Grappa.
Moltissimi sono poi i liquori creati da persone che si tramandano i segreti di generazione in generazione (nocino, perseghino, e altri).
L'arte del vino trascina un indotto vastissimo, dalle vetrerie ai tappi, alle etichette, alle botti, alle imbottigliatrici;
una gamma di macchine automatiche di cui l'Italia possiede le più aggiornate tecnologie. La visita ai templi di Bacco, le meravigliose cantine, è diventata una forte componente turistica.
Anche per quanto riguarda l'alimentazione l'Italia vanta tradizioni secolari, popoli diversi hanno creato una tale varietà di piatti per cui occorrerebbe un'enciclopedia per citarne solo una buona parte.
L'arte del gelato, già conosciuta dai Romani, è stata perfezionata nel Rinascimento; un ulteriore merito italiano è l'invenzione del cono, una di quelle cose in apparenza modeste, ma che allietano la vita. Centinaia sono i tipi di formaggi, di salumi, di miele, di prelibatezze che la recente riscoperta del territorio ha portato alla ribalta.
Carlo Petrini meriterebbe un monumento dal vivo, perché è un eccezionale suscitatore di energie; fondatore dell'organizzazione Slow Food, ha fatto riscoprire in ogni angolo d'Italia le superbe tradizioni culinarie esistenti, ma sopite in attesa di un “mago” che le risvegliasse.
Il Salone del Gusto di Torino, come pure la manifestazione “Cheese” a Bra sono il coronamento di tanto merito.
Un paragrafo a parte merita la Sardegna, per le sue tradizioni, per la civiltà nuragica, per la coltura del sughero, i vini, i formaggi, i tappeti, i cerimoniali antichi come la Sartiglia di Oristano, il folklore ricchissimo di canti, di danze, gli strumenti a fiato continuo; la lotta a testate, i terribili inverni sul Gennargentu, il Giudicato di Arborea, le piante da sughero e molte altre attrattive che ho già citato.
L'Italia della letteratura, a cominciare dalla letteratura romana antica, compresa la raccolta di leggi unica al mondo e tuttora valida in gran parte. Dante, Petrarca, Boccaccio, Machiavelli, Manzoni, Carducci, Pirandello: è inutile continuare un elenco che porta la gloria d'Italia nel mondo; e quanti poeti “minori” ma di grande valore!
L'Italia del cinema, conosciuto in tutto il mondo, il neorealismo, Visconti, Fellini, De Sica, Antonioni e lo spaghetti-western che viene addirittura studiato in alcune università americane.
L'Italia degli scienziati, a cominciare da Galilei, Torricelli, Volta, Marconi (quante vite salvate!), Natta, Ferraris, Avogadro e i grandi matematici, i grandi medici, gli antropologi; Fermi, Rita Levi Montalcini.
Insomma un elenco prestigioso e interminabile che conferma l'apporto dato dall'Italia al progresso mondiale.
C'è poi un'Italia generosa quanto silenziosa, quella dei volontari.
Milioni di persone che ogni giorno si prodigano per gli altri, a volte fino al sacrificio della vita; in tutto il mondo medici italiani coadiuvati da volontari, missionari, suore vivono in mezzo all'orrore, portando un messaggio d'amore e di speranza inesauribili. In mezzo alle giungle, sui fronti delle guerre brilla luminoso l'amore italiano di cui Emergency, fondata dal chirurgo milanese Gino Strada, è uno degli esempi giù gloriosi.
Ogni anno milioni di Euro vengono versati dagli Italiani alle varie organizzazioni umanitarie.
Ogni mattina un avvenimento misterioso e affascinante avviene: fiumi di sangue vengono versati dai donatori agli ospedali per salvare migliaia di vite in pericolo.
L'Italia eccelle anche in un altro campo, quello del disegno industriale; moltissimi oggetti di uso quotidiano ottengono premi per il loro design, spesso vengono esposti nei musei di arte moderna di tutto il mondo; Pininfarina e Giugiaro creano le stupende carrozzerie che rivestono le automobili delle più prestigiose marche; nella moda, i cui creatori sono stati giustamente paragonati ai principi del Rinascimento, si esprime la creatività italiana, come pure nei gioielli, nei mobili, nei profumi, nell'arredamento in genere.
La tecnologia che permette tutto ciò pone l'Italia ai vertici mondiali del settore.
Ho già parlato del ricchissimo patrimonio di canzoni e proverbi, ma occorre anche parlare della grandissima varietà di “feste” a cerimoniali, alcuni dei quali affondano la loro origine nella notte dei tempi.
Della Sartiglia di Oristano ho già parlato; ci sono anche gli sbandieratori, i suonatori di strumenti poco noti se non nell'ambito locale (come si può vedere alla Fiera di Sant'Orso ad Aosta); strumenti derivati da attrezzi da lavoro e che producono una straordinaria armonia, uniti a danze ben lontane da quelle che si vedono negli spettacoli televisivi e che sono un prodigio di grazia e vigore e intrecci complessi di persone che producono dei ritmi solo col battito delle scarpe sul terreno.
L'unione del canto, della danza e dei colori è uno spettacolo veramente suggestivo, con le sue infinite varianti non solo regionali, ma anche comunali. Ci sono le gare con gli archi e le balestre, le corse in salita, le giostre medievali, le prove di forza.
Nell'ambito religioso ci sono le grandi processioni del Sud, ma anche la più importante del Nord Italia, e cioè quella del Venerdì Santo a Savona, uno spettacolo che attira visitatori da tutta Europa. La straordinaria bellezza delle casse, i cori religiosi, i cerimoniali rendono questa processione altamente suggestiva.
Ci sono poi i grandi pellegrinaggi ai Santuari, ognuno dei quali costituisce da solo un capolavoro dell'ingegno italiano. Ma oltre a quelli religiosi “ufficiali” ci sono dei riti singolari e impressionanti come i serpari dell'Abruzzo e i tarantati in Puglia. Occorrerebbe un grande trattato di antropologia per elencare tutti i riti che si svolgono in Italia.
L'Italia del Papato e della religione cattolica. Il centro della terra per i cattolici è il Papato, città del Vaticano e centro spirituale di una delle grandi religioni della Terra.
Innumerevoli sono le ricadute religiose, sociali e anche economiche su Roma e sull'Italia tutta.
L'immenso patrimonio spirituale, religioso e culturale dell'Italia è unico al mondo. 
In subordine, ma di estrema importanza è il patrimonio artistico di Roma, le biblioteche, San Pietro, gli affreschi;
la Chiesa è stata per secoli committente di bellezza nelle chiese, nei conventi, nei quadri, nelle statue, nei libri, negli oggetti, nelle miniature di abbagliante bellezza.
Ogni paese d'Italia ha una bella chiesa con capolavori spesso sconosciuti agli abitanti stessi. La devozione popolare ha arricchito l'arte con donazioni di incalcolabile valore artistico, non ultimo l'arte presunta minore degli ex voto.
E gli italiani chi sono? L'Italia è sempre stata abitata fin dai tempi preistorici e gli abitanti hanno lasciato innumerevoli reperti: dalle incisioni rupestri, ai nuraghi della Sardegna, dai reperti nelle grotte di Finale Ligure (SV) alle palafitte, alle sepolture, alle prime fonderie, scuri, armi ed altre manifestazioni della cultura.
Dei popoli autoctoni uno prevalse sugli altri, quello dei Romani. Gli altri, ben distribuiti sul territorio, lasciarono certamente tracce nella civiltà romana. Gli Etruschi, che appartengono, ai popoli “venuti da fuori” lasciarono tracce grandiose e influenzarono profondamente i Romani, che molto impararono da loro.
Molti altri popoli invasero l'Italia; gli antichi greci crearono le loro città grandiose con i loro templi e teatri meravigliosi, con la loro cultura e la loro filosofia.
Si susseguirono i Cartaginesi, i Bizantini, gli Arabi, le invasioni barbariche, i Francesi, gli Spagnoli, gli Austriaci.
Tutti questi popoli lasciarono tracce indelebili sulla civiltà italiana, influenzandone profondamente usi e costumi.
Questi ultimi, maturati e consolidati nei secoli, sono stati profondamente interiorizzati; il territorio, con le sue differenze geografiche, le isole, le valli quasi inaccessibili e isolate per secoli; la gelosia municipale, la possente superbia delle città che si ritenevano le migliori al mondo chiamando ad abbellirle i più grandi artisti; i canti, le danze, i dialetti, gli strumenti musicali, il vestiario, i cerimoniali ufficiali, civili e religiosi e quelli ancestrali, ma non meno importanti;
tutto questo è la maggior garanzia contro la temuta globalizzazione che mai riuscirà a scardinare un simile patrimonio.
Solo l'Italia ha potuto creare le Repubbliche Marinare, uniche nella storia del mondo, piccole unità sole contro imperi colossali, attivissime di commerci, ma anche fucine di libertà e committenti di bellezza; Venezia finì solo per la brutale spartizione dei territori, ma quanto melodioso fu il canto del cigno, prima con la creazione del teatro della Fenice (nome presagio di gloria), e poi con la leggendaria difesa del 1849. Genova fu sì assorbita dall'Italia, ma ebbe Garibaldi, Mazzini, Schiaffino, Bixio, Ruffini e Quarto, Rubattino e i Mille…
Altrettanto importante è la “solidarietà capillare”, cioè diffusa in tutti gli angoli più sperduti: infermieri volontari che vanno ad assicurarsi dello stato di salute di persone anziane in lontani casolari; vicini e conoscenti degli stessi che “danno una mano” in quelle faccende in apparenza modeste (come ammucchiare la legna per l'inverno) che però, tutte insieme, fanno sì che le persone, ovunque si trovino, sentano di essere parte di un grande corpo sociale, di non essere abbandonate, di partecipare al flusso delle vita, di essere a loro modo importanti.
Ecco che di fronte alle sventure a volte dovute a fenomeni incontrollabili, a volte provocate dolosamente, si ergono i paladini del riscatto: assieme alle grandi organizzazioni ufficiali, uomini meravigliosi scavano con le mani nelle macerie dei terremoti, altri si sfiniscono a combattere gli incendi, altri stremati e coperti di fango lottano contro le inondazioni. Una immagine mi è fortemente rimasta impressa nella memoria, quella della “Madonna dei clandestini”, e cioè una dottoressa che, sul litorale di Lampedusa, cerca di rianimare un africano morente.
C'è un bellissimo proverbio russo che dice che l'odio non è solo al mondo perché è assediato dagli angeli che camminano sulla terra.
Certo si può fare di più; si può sempre fare di più in ogni cosa; ma nei limiti e nei difetti umani quanta gloria, quanto riscatto, quanto amore!
Nel dopoguerra l'Italia ha compiuto un'altra impresa veramente grandiosa: la più imponente migrazione interna che la storia ricordi, e cioè milioni di persone che in pochi anni si sono spostate dal Sud al Nord, è stata assorbita quasi senza traumi, arricchendo l'Italia di nuove energie.
L'Italia ha fatto fronte coraggiosamente alla catastrofe del Polesine, e alle altre che si sono susseguite, risorgendo più determinata e più bella. Ma non solo: ormai gli immigrati si contano a milioni, contribuendo a quello scambio così ricco di conseguenze positive; coi loro guadagni centinaia di milioni di Euro prendono la via dell'Africa, del Sud America, dell'Asia, contribuendo così ad alleviarne in parte la miseria.
Tutto quanto detto sopra si inserisce nel contesto globale del buon vivere: lo stare insieme, le infinite associazioni, il ballo, le cerimonie che scandiscono i ritmi della vita e finalmente il convivio, il mangiare assieme, uno dei riti primordiali dell'umanità, con le sue profonde implicazioni psicologiche e addirittura magiche. Perché tutto viene dalla Madre Terra: dalla semina nel suo grembo, alla crescita delle piante, la Madre Idrofora cioè portatrice d'acqua, con migliaia di km di canali, i riti magici della raccolta, gli opulenti magazzini di cibarie, la magica metamorfosi; nell'anno 2000 è ancora magica la parola pane, magica è la parola vino (Cristo scelse pane e vino); l'olio santo; tuttora la parola pane ha un significato denso di simboli emotivi profondi: guadagnarsi il pane; Ugolino nel 33° canto dell'Inferno di Dante dice: “Pianger sentii nel sonno i miei figlioli ch'eran con meco e dimandar del pane”.
Si può concludere questo viaggio meraviglioso facendo un sunto dei doni che l'Italia ha fatto al mondo:
mondo romano con la sua storia, l'ingegneria prodigiosa, la raccolta di leggi;
Arte in Italia e arte italiana nel mondo;
religione Cattolica con il suo mondo italiano e insieme universale;
letteratura e poesia;
musica classica e popolare;
invenzioni (tra cui la bussola, il termometro, il barometro, la macchina da scrivere, la funicolare, la dentiera, il motore a scoppio e infinite altre); scienza e tecnologia che facilitano la via dell'uomo;
cibi e bevande che mantengono la vita e la allietano;
panorami di abbagliante bellezza;
sole, mare, laghi, montagne.
Tuttavia………si può sviluppare ancora questo stupendo sistema senza danneggiare l'ambiente?
La risposta è un chiarissimo “SI”.
Un esempio riguarda l'energia: si può ottenere energia con mezzi ben collaudati dall'esperienza e cioè le dighe;
distribuite capillarmente sul territorio, trattengono acqua per l'irrigazione e producono energia elettrica.
Per mezzo di pannelli solari e cellule fotovoltaiche; centrali eoliche, miniturbine, biogas, in ogni casa o cascina si potrebbe avere quasi tutta l'energia necessaria alla vita domestica. 
Dev'essere attuata la legge regionale sulle cisterne:
è assurdo che piova acqua e che scivoli via per poi pomparla in alto con enorme dispendio di energia, di usura di pompe e motori e di logorio di tubazioni. Sarebbe tanto facile trattenerla capillarmente dai tetti e farla confluire in apposite cisterne, per poi utilizzarla per gli usi quotidiani di casa e campagna.
Un metodo importantissimo per risparmiare energia è la raccolta differenziata dei rifiuti: non dimentichiamo che milioni di tonnellate di preziosi materiali vengono sotterrati per sempre nelle discariche. Volendo fare un semplice esempio basta seguire la vita di una bottiglia di vetro: occorrono soda, sabbia, dolomite, calcare, solfato, ossido di ferro, acqua, nafta ed energia elettrica per ottenere il vetro. Perciò ogni bottiglia, in apparenza così innocua, è in realtà una bomba energetica; lo stesso vale per le lattine di alluminio, le pile, la carta, per il cui spreco impoveriamo la terra di alberi.
Quindi triplicando la raccolta differenziata non solo non si costruirebbero centrali, ma si sgonfierebbero le discariche e nello stesso tempo si attuerebbe una missione di altissima umanità: stringe il cuore infatti vedere nei bidoni della spazzatura vestiario e scarpe quasi nuovi, mobili, elettrodomestici, materassi, ecc. che potrebbero alleviare gli stenti di tanta parte dell'umanità.
Quindi per concludere non c'è alcun bisogno di costruire centrali nucleari e aumentare il mostruoso spreco di beni;
occorre invece agire al contrario e frenare il mostruoso spreco di beni.
Arte. Ancora purtroppo grandissimo è il patrimonio artistico abbandonato: dal museo Lombroso di Torino al museo del grano a Savigliano alle statue dei sotterranei del duomo di Orvieto; l'elenco è impressionante ed ecco un'occasione di lavoro, capillarmente distribuito sul territorio e che porterebbe alla luce i musei nascosti che secondo alcuni sono quasi vasti come quelli funzionanti; perciò:
edifici restauratori guardiani guide trasporti studenti.
Lo stesso vale per le necropoli e gli scavi archeologici, bisognosi entrambi di forti investimenti.
Archeologia subacquea. Nei millenni sono affondate nel Mediterraneo centinaia di navi; ecco un'altra occasione per far affiorare l'arte ed il costume nascosti lungo le migliaia di km di coste italiane.
Recupero di paesi e cascine abbandonati; in tutta Italia esistono stupende frazioni abbandonate che vanno recuperate e ripopolate offrendo forti incentivi a chi va ad abitarvi; basti vedere il famoso “Chiantishire”, ma anche il fenomeno estremamente positivo dei 5000 Svizzeri nelle Langhe, esempi che vanno studiati e seguiti.
Agriturismo, cantine, recupero di cibi tradizionali: come già detto a proposito di Carlo Petrini le premesse sono ottime;
occorre accelerare in modo da saturare il territorio; l'esempio più bello dell'unico formaggiaio di Cogne che è un immigrato: occorrono nuove forze. Naturalmente bisogna trovare nuove strade, nuovi collegamenti, infrastrutture adatte: altro lavoro sul territorio.
Incentivare il turismo termale, adesso sottoutilizzato; costruire sulle lunghissime coste italiane, stabilimenti di talassoterapia.
Recupero, sulle coste e dovunque, delle grandi ex colonie per bambini; spesso si trovano in posizioni stupende e si possono creare grandi case di riposo senza deturpare il paesaggio: esse sono ormai inserite nel contesto territoriale. Aumento delle corali e delle squadre di ballo liscio, con grande vantaggio fisico (modalità articolare, espansione toracica, armonia nei movimenti, benefica stanchezza);
si incrementa la spirale destra ascendente positiva, aumenta la gioia, diminuisce la depressione.
Aiuto all'agricoltura: occorre moltiplicare ciò che sta timidamente avvenendo e cioè aiutare i contadini; studenti, anziani, prepensionati, in cambio di ospitalità presso le cascine potrebbero, specialmente nei periodi della vendemmia, della raccolta delle mele, delle olive, ecc. dare un forte aiuto a chi vive sul territorio: ottimo interscambio di modi di vivere e di compagnia.
Rimboschimento da attuare con guide adeguate, aumentando così il patrimonio di verde (meno anidride carbonica e più ossigeno).
Fortezze: ci sono grandi fortezze, specialmente sulle Alpi occidentali, costruite quando la Francia era il “nemico”.
Enormi, solidissime, situate in posti di incomparabile bellezza, vanno recuperate per ricavarne ostelli per la gioventù, teatri, musei etnografici. Bisogna recuperare le esistenti cisterne e coprire le fortezze (con discrezione) di pannelli solari e cellule fotovoltaiche.
Miniere. Già è iniziato il recupero a scopo turistico di alcune miniere, ma occorre dare un forte impulso a questo patrimonio straordinario.
L'Italia come casa di cura per l'Europa.
Lo stupendo contesto italiano può diventare una forte attrattiva per gli anziani di tutta Europa: dal nord al sud alle isole, occorre creare un insieme di pensioni, luoghi di cura, grandi sale da ballo, gare di bocce, biblioteche, piccole escursioni in pullman tali da richiamare un grande flusso di anziani. Naturalmente occorre tutto un contorno logistico adeguato e occorre far presto perché altri Paesi si stanno già dando da fare.
La realizzazione di tutte le proposte suggerite ha molteplici vantaggi: il lavoro è capillarmente distribuito sul territorio, anche negli angoli più remoti e non crea allucinanti processioni di pendolari; il recupero di edifici, oltre ad essere un enorme risparmio energetico, non altera il paesaggio;
il flusso turistico, invece di essere massificato in punti fissi creando ingorghi, rumori e inquinamento, viene fatto scorrere (panta rei) creando quei flussi vitali così importanti per la vita; coinvolge le autorità locali, e soprattutto rende protagonisti gli abitanti del luogo interessato: aumenta la gioia di vivere, diminuiscono le malattie psicosomatiche e articolari, l'esperienza della vita si vive in modo più integrato e corale, diminuisce l'aggressività, le energie positive aumentano.
Con che soldi attuare tutto ciò? Queste realizzazioni costano; tuttavia il segreto per realizzarle c'è: è il flusso di energie potenziali già esistenti, e cioè l'enorme numero di pensionati residenti in tutti i paesi; ancora fisicamente validi spesso specialisti provenienti dagli stabilimenti o ex artigiani ingegnosi (muratori, elettricisti, idraulici, giardinieri, cuochi, ecc.) possono diventare la colonna portante delle attività proposte, come del resto avviene già in altre nazioni. Ben coordinati e coinvolti, esperti del luogo e dei suoi segreti, rappresentano il tesoro di ogni paese.
A conclusione di questo mio scritto, si potrebbe dire che ogni punto andrebbe discusso, ampliato, integrato.
Avrà certamente dimenticato qualcosa, tuttavia spero di aver aiutato a dare una panoramica dell'abbagliante tesoro che è l'Italia.
Perciò: viva l'Italia, la sua bellezza, la sua libertà, grazie al cielo che ce l'ha data, al destino e al bel futuro che verrà.