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Foto profilo

Mingoia Rosa: nasce a Palermo il 4 gennaio 1961. Diplomata al liceo classico,intraprende gli studi universitari conseguendo la laurea in Giurisprudenza e una specializzazione biennale in “Diritto delle Regioni e degli Enti locali”.
Lavora dal 1990 presso l’Università degli Studi di Palermo come funzionario amministrativo. 
Sin da piccola ha una predisposizione particolare per la pittura. Dipinge con diverse tecniche (pittura su vetro, carboncino e olio su tela) riscuotendo apprezzamenti da critici d’arte che la citano in alcune riviste (Effetto Arte diretto da Paolo Levi). Viene selezionata nel 2013 nella prima biennale internazionale d’arte di Palermo. Ha esposto in diversi luoghi (Museo Civico d’Arte Moderna e Contemporanea “Giuseppe Sciortino” di Monreale nel gennaio 2013, nella Galleria d’arte di Villa Niscemi a Palermo nell’ottobre del 2013, in Chiese e associazioni culturali ecc).
Nel 2013pubblica per Edizioni People &humanitiesun libro sulla vita di santa Rosalia, dal titolo “Rosalia De’ Sinibaldi – eremita per amore” scritto in collaborazione con il marito.
Nel 2014 pubblica un romanzo d’amore dal titolo “Si può sempre ricominciare”. 
Qualche anno dopo predispone la sceneggiatura teatrale del romanzo pubblicato nel 2013 “Rosalia de’ Sinibaldi” e si classifica seconda per la sezione Teatro nella "XVIII edizione del Premio internazionale Il Convivio 2018, Poesia, prosa ed arti figurative e XIII edizione del premio Teatrale Angelo Musco".
Amante della recitazione, nel 2017 e nel 2018 partecipa a corsi per “operatore teatrale” e per “attore” con saggio finale.
Nel 2018 consegue l’attestato di merito per il triennio di studi teologici. Scrive articoli e rilascia interviste presso Radio Spazio Noi dell’Arcidiocesi di Palermo.
Nel 2019 partecipa al concorso Premio per opere saggistiche inedite “Giuseppe Antonio Borgese” de “Il Convivio” e riceve la segnalazione di merito per l’opera “Crescere nella misericordia di Dio” con dignità di pubblicazione.
Partecipa attivamente alle attività pastorali della Parrocchia “Sacro Cuore di Gesù” di Palermo, in particolare come componente della Milizia dell’Immacolata ed esercita, con mandato del Vescovo, il ministero di ministro straordinario dell'Eucarestia. 





Con Carta e Penna ha pubblicato:

IL QUIETO RIPOSARE DELL'ANIMA

Copertina libro
Dalla prefazione di Maria Elena Mignosi Picone:
Rosa Mingoia ci offre la sua silloge di poesie dal titolo “Il quieto riposare dell’anima” che racchiude poesie che ella ha composto nel corso dei suoi anni, da quelli giovanili a quelli della maturità. È sempre giovane come lo è una persona che si accinge a compiere i sessant'anni, ed è proprio per questa ricorrenza che ha voluto farsi questo regalo: la pubblicazione di tutte le poesie scritte precedentemente e sino ad ora. Rosa Mingoia, persona sensibile e delicata, ridente e radiosa, di quella bellezza pura, autentica e genuina, che non è solo bellezza del fisico ma anche riflesso dello spirito, spirito, come il suo, rivolto alla terra e da questa al cielo, una persona che guarda all'orizzonte, che sente entro di sé i palpiti del divino.
È una donna ricca di fede, e di fede viva, vissuta nella preghiera e nella operosità, e anche nell'arte, nella poesia. È qui, in questo libro, che si avverte un crescendo, un anelito, pur nelle circostanze e nelle incombenze, della vita giornaliera (è sposa, madre, ha un lavoro di responsabilità nell'Università di Palermo, è poetessa e anche pittrice), si avverte un crescendo, dicevamo, della presenza della vita divina in lei, e che, illuminata dallo Spirito Santo, si avvia gradualmente ad una progressiva maturazione. È la ricerca dell'Assoluto, pur nella contingenza della vita, la ricerca di ciò che non passa su tutto ciò che passa, è la ricerca della vita eterna, già pregustata quaggiù. E Rosa Mingoia la conosce bene e la fa assaporare nelle sue poesie nelle quali ciascuno, animato da anelito del Trascendente, può riconoscersi. È una poesia dunque, imbevuta dell'acqua dello Spirito Santo, una poesia intrisa di spiritualità, intrisa di fede.
Nelle sue poesie troviamo anche la compassione verso l’umanità dolente. Molto vivo in lei è il sentimento, in questa opera, della misericordia. L’attenzione agli ultimi, agli infelici, agli oppressi. Ecco allora l’amore tradito, l’amore mancato, ecco l’amore dato male; non manca la sofferenza per la malvagità umana, con gli effetti della guerra, la violenza, le usurpazioni, e con riferimenti a fatti storici come la Shoah, o il fenomeno dell’Isis con il terrorismo. Alla compassione si accompagna anche una grande delicatezza con cui la poetessa esprime le sue considerazioni verso le vittime, la tenerezza, e invita i malvagi alla conversione. Ed esorta sempre al bene. Alla comprensione, al perdono.
Risaltano i valori cristiani; tutta l’opera è a questi improntata.
Rosa Mingoia, oltre ad essere una praticante, è anche attiva nella Chiesa in cui svolge il servizio di ministro straordinario della Eucarestia e di laica consacrata all’Immacolata, partecipa ai ritiri spirituali e a corsi di formazione cristiana. Tutto questo si avverte nelle sue poesie che ricalcano fedelmente gli insegnamenti della Chiesa.
Tenerissime sono poi le poesie che riguardano gli affetti familiari: le poesie al padre, alla madre, alla sorella, passata recentemente ad altra vita. Ma anche molto tenere quelle alle amiche, alle compagne di scuola, alcune delle quali ora non ci sono più. Per non parlare di quelle rivolte ai suoi amori più grandi, il marito e il figlio. Qui l’amore coniugale e materno è sviscerato in tutti i suoi particolari, in tutti i suoi aspetti, sin nelle minime emozioni degli innamorati; è sviscerato in tutte le sue ripercussioni sullo spirito.
È un libro delizioso, potremmo dire completo sotto l’aspetto letterario, umano, morale, spirituale. Un libro ricco sia di materia, il numero delle poesie è considerevole, sia di spirito.
Profondità di sentire, delicatezza d’animo, sensibilità spiccatissima fanno di Rosa Mingoia, scrittrice fine anche sotto l’aspetto formale poiché il suo stile è terso, limpido, cristallino, forbito e squisitamente elegante, fanno di lei, dicevamo, una letterata di ottima forgia, una letterata di elevata statura.
 


Per i lettori di Carta e Penna ha scelto:

L'AVVENTO DI CRISTO

Testo teatrale di Rosa Mingoia
 
 
PERSONAGGI:
 
Narratore
Giuseppe
Maria 
Vinicio
Gioacchino
Anna
Dio
Elisabetta
Arcangelo Gabriele
Angelo 
Sacerdote
N. 2 Ostesse
N. 2 Pastori  
Re Magi 
Gesù Bambino
Ismaele
N.3 Dottori della Legge
Mercanti e donne
Per le parti danzate (Adamo ed Eva e donne del popolo).
 
 
Atto I
 
Scena I
 
Giuseppe rivela a Vinicio il suo amore per Maria di Nazareth
 
Narratore (dietro le quinte)
 
Nella piccola città di Nazareth, più di duemila anni addietro, viveva un umile falegname di nome Giuseppe, grande lavoratore, benvoluto da tutti, uomo senza pretese, legato alla sua terra e alle sue tradizioni. Ma Dio aveva un progetto su di lui, un grande progetto che lo avrebbe innalzato all’apice della Santità e indotto l’intera umanità a riconoscere in lui il custode del nostro Redentore e il Patrono della Chiesa universale.
 
Entrano sul palco Giuseppe da una parte e Vinicio dall’altra.
 
Giuseppe (canticchia):
Piallo e sego, sego e intaglio, tronchi di legno trasformerò.
Legno di noce, di pioppo o di pino, 
con queste mani modellerò.
Grazie al buon Dio, son forte e onesto,
di lavorare sempre mi va’. 
Corro, fatico e non mi lamento,
lodi e preghiere a lui eleverò.
Mi basta un pasto e un amico sincero
nulla di più di quello che ho.
Piallo e sego, sego e intaglio, tronchi legno trasformerò.
Legno di noce, di pioppo o di pino, 
con queste mani modellerò.
Legno di noce, di pioppo o di pino, 
con queste mani modellerò
 
Vinicio: Salve, Giuseppe. La pace sia con te.
 
Giuseppe: E con te, Vinicio. Qual buon vento ti conduce qui?
 
Vinicio: Nazareth era di passaggio lungo il mio cammino verso Cafarnao e una sosta nella tua dimora mi fa molto piacere.
 
Giuseppe: Il piacere è reciproco, caro amico. Il sole sta calando e presto sarà sera, resta con me.
Divideremo il mio frugale pasto e, se vuoi, mi racconterai di quel che accade a Gerusalemme e di questo tuo viaggio. Cosa ti spinge a raggiungere Cafarnao!?
 
Vinicio: Affari, dimentichi forse che sono un mercante di stoffe? Ti ringrazio per il tuo invito. Ho proprio bisogno di rifocillarmi e riposare queste membra. Piuttosto, ti sei deciso a prender moglie? Ho qui una stoffa di pizzo che andrebbe bene per un abito da sposa.
 
Giuseppe: È un bel pezzo che ci penso, e forse…
 
Vinicio: Forse cosa? Dai, parla! Non tenermi sulle spine.
 
Giuseppe: Non ci crederai, penso proprio di averla trovata.
 
Vinicio: Questa sì che è una bella notizia! E racconta… la conosco? 
 
Giuseppe: Maria di Nazareth è il suo nome, figlia di Anna e di Gioacchino. Una fanciulla incantevole, bianca come la luna e bella come il sole.
 
Vinicio: Che aspetti allora a chiederla in moglie?
 
Giuseppe: È molto giovane. Potrei non piacerle.
 
Vinicio: Suvvia, non ti perdere d’animo. Quando mai si è detto che sia la donna a scegliere il marito! Offri al padre abbondanti capi di bestiame e vedrai che ti concederà la sua mano. Un grande  lavoratore come te è un ottimo partito. Cosa temi? Le donne ti desiderano. Tante sarebbero disposte a giacere sul tuo talamo.
 
Giuseppe: Con Maria è diverso.
 
Vinicio: Che vuoi dire? Non capisco.
 
Giuseppe: O, se tu la vedessi? Maria…quanto mi è soave pronunciare il suo nome. La carezzerò con gli occhi. Sarà la mia regina, l’angelo della mia casa e se Dio vorrà, la mia sposa.
 
Vinicio: Ed io il tuo testimone. Ma ora andiamo, mi è venuta proprio una gran fame, se è ancora valido il tuo invito…
 
Giuseppe: Certamente! Andiamo, caro amico.
 
Giuseppe prende a braccetto Vinicio ed escono dalla scena.
 
 
 
Scena II
 
La promessa di matrimonio
 
Narratore
 
Passarono alcuni giorni e Giuseppe decise di far visita a Gioacchino ed Anna, genitori di Maria. Li conosceva bene, erano due cari amici e sicuramente avrebbero acconsentito a dargli in sposa la figlia. Eppure, una strana inquietudine permaneva nel suo animo, si sentiva emozionato come un giovinetto di appena vent’anni.
“Se il Volere di Dio è che mi unisca a Maria, nessun ostacolo si frapporrà tra noi due” pensò tra sé. E senza più alcun timore si recò nella casa di Anna e Gioacchino.
 
Entrano in scena Gioacchino e Giuseppe.
 
Giuseppe: Messere Gioacchino la saluto e riverisco.
 
Gioacchino: O Giuseppe, che bella sorpresa. Stavo giusto pensando a te. Mia moglie è da stamane che mi tormenta per un tavolo che traballa. Ci vogliono le tue mani per rimetterlo a posto.
 
Giuseppe: Lo riparerò con piacere, messere Gioacchino. 
 
Gioacchino: Sapevo bene di poter contare sul tuo aiuto, come sempre d’altronde, ma dimmi, a che devo la tua visita!? É successo qualcosa?
 
Giuseppe: No, no. Ringraziando Dio, tutto va bene. Son qui per chiederle…non è facile però. 
 
Gioacchino: E allora? Cos’è questo timore? Non dirmi che hai soggezione di me.
 
Giuseppe: No. Non è questo. Da quanto tempo ci conosciamo, messere Gioacchino?
 
Gioacchino: Anni direi, tanti anni. 
 
Giuseppe: Già. Lei è come un padre per me, quantunque non vi sia molta differenza di età tra noi due. Eppure sono emozionato come un discente dinnanzi al suo maestro.
 
Gioacchino: Giuseppe, Giuseppe, cosa può dirmi una brava persona come te! Di cosa devo preoccuparmi?
 
Giuseppe: Di nulla, credetemi. Anzi, son qui per una richiesta che forse le farà piacere, o almeno lo spero.
 
Gioacchino: E allora, non esitare a parlare.
 
Giuseppe: Ecco, mi sono innamorato di vostra figlia e desidero maritarla, se mi concedete la sua mano. Naturalmente questa mia proposta di nozze è accompagnata da una cospicua dote. Sarete voi a quantificarne l’ammontare.
 
Gioacchino: Caro figliuolo, nulla può farmi più felice. Questo è sicuramente il Volere del Signore. Anche Anna ne sarà ben lieta e ringrazieremo Dio per questa inaspettata notizia.
 
Entra Anna in scena.
 
Anna: Di quale inaspettata notizia state parlando voi due? Orsù, ditemi! Non tenetevi sulle spine.
 
Gioacchino: Sapessi, cara muglieri! Dobbiamo festeggiare! Oggi è giorno grande!
 
Anna: Festeggiare cosa? Spiegati meglio
 
Gioacchino: Questo mio caro amico ha chiesto la mano di nostra figlia.
 
Anna alzando gli occhi al cielo: O, sia lodato il Signore… Maria sposa di Giuseppe? Devo dirglielo subito. Vado, vado a chiamarla.
 
Anna esce dalla scena frettolosamente. 
 
Gioacchino: Amico mio, hai fatto un’ottima scelta. Mia figlia è una perla rara. Ti sarà fedele e obbediente come si conviene a ogni moglie e tu, rispettala e amala più di te stesso. 
 
Entra in scena Maria con Anna al suo fianco. Maria ha il capo chino.
 
Maria alzando lo sguardo verso il padre: Padre, son qui. Cosa volete dirmi?
 
Gioacchino: Figlia mia, vieni, vieni vicino a me.
 
Maria fa un passo in avanti.
 
Gioacchino: Oggi è un giorno benedetto dal Signore.  Giuseppe mi ha chiesto il permesso di unirsi a te dinnanzi a Dio con il sacro vincolo del matrimonio. Io sono ben lieto di questa sua proposta e son sicuro che lo sei anche tu.
 
Maria: Padre, sapete bene che nulla può rendermi più felice del far la vostra volontà. 
 
Maria (volgendo lo sguardo verso Giuseppe): Accetto… sarò la tua sposa.
 
Giuseppe sorride e bacia la mano a Maria.
 
Anna (alzando gli occhi al cielo): Sia ringraziato Dio per la sua benevolenza. Mi occuperò dei preparativi per le nozze. Vi sarà un grande banchetto. E l’abito bianco, con pizzo e merletti. Inviteremo tutti i nostri amici e sarà festa, festa grande nel nome del Signore.
 
Giuseppe: Vado allora, deciderete voi la data. La pace sia in questa famiglia.
 
Gioacchino: E sia sempre con te, Giuseppe.
 
Escono dalla scena prima Giuseppe, poi Anna con Gioacchino.
 
Maria rimane nel centro del palco, si inginocchia, con le mani giunte.
 
 
Scena III
 
L’annunciazione
 
Entrano sul palco due angeli: l’Arcangelo Gabriele si posiziona a distanza di fronte a Maria e l’altro angelo con le mani giunte si posiziona in piedi alle spalle di Maria.
 
Maria è sempre inginocchiata sul palco.
 
L’arcangelo Gabriele (rivolto al pubblico):
 
Se ne stava Maria nella sua stanza, rannicchiata in preghiera,
le braccia incrociate sul petto e il capo chino.
Quante volte ha invocato il tuo nome, mio Signore,
Divino Amore che non conosci fine!
Nel silenzio meditava sulla tua Parola,
isolando la mente da materiali pensieri,
quando, ecco, all’improvviso,
nella penombra dell’umile dimora,
i miei raggi di luce avvolsero il suo viso.
Gli occhi alzò, ricolma di timor di Dio,
e incrociò il suo innocente sguardo con il mio.
Turbata rimase alle mie dolci parole:
“Ti saluto, o piena di grazia, con te è il Signore. Non avere alcun timore, Maria, hai trovato grazia presso Dio. Concepirai un figlio, lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.
 
Teso era il suo orecchio a quel messaggio Divino,
grata infinitamente all’Onnipotente Signore, 
pur non capendo 
come potesse compiersi un tal privilegio 
in una casta vergine che mai conobbe uomo.
Eppur credendo a quelle Sante Parole sospirò
 
Maria si alza da terra, allarga le braccia come ad accogliere l’invito: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga in me secondo la tua Parola”.
 
L’arcangelo continua: E a quel “SÍ”, in lei si fece carne Cristo, il Redentore.
 
L’arcangelo Gabriele si posiziona dietro Maria (accanto all’altro angelo e a questo punto si ode la voce di Dio, tra le quinte, con il sotto fondo musicale della Placida progressione del mare.
 
Dio:
Il Verbo si è fatto carne. 
Sì, si è fatto carne.
Sembra incredibile, vero?
Un Dio che assume l’umana natura
in tutto fuorché nel peccato.
Perché? Direte voi. 
A qual buon fine?
L’ho sempre voluto, fin dalla notte dei tempi.
Non potevo abbandonare le mie creature in balia del male.
 
Entrano in scena due ballerini che interpretano Adamo ed Eva e danzano felici mentre Dio continua a parlare.
 
Dio:
Quando creai l’uomo e la donna con infinito amore li plasmai con il fango 
e col soffio Divino donai loro la vita. 
Donai anche la terra, il cielo e il mare, 
e quanto di più bello catturasse i loro occhi. 
Ruscelli di acqua limpida scorrevano ai loro piedi 
e canti di augelli festosi animavano i loro giorni. 
 
Eva danzando si avvicina ad un angolo del palco e prende una mela da terra. La solleva verso l’alto e la guarda, poi corre verso Adamo e gli mostra la mela, gira intorno a lui con movenze suadenti per indurlo a prenderla e morderla. Nel frattempo Dio continua a parlare.
 
Dio:
Ma l’invidia è una bestia feroce, 
logora chi ne è pervaso, 
suscita disprezzo per la vita, desiderio di vendetta.
Una torcia, accesa d’ira e di superbia, eri angelo del male, 
le unghia affilate, protese sulle mie creature.
O misere, deboli creature umane! 
Trascinate con l’inganno nel fango, 
succubi del maligno, 
immerse nel peccato, nel dolore e nel pianto.
Non volevo lasciarvi annegare.
Fu così che vedendo in me cotanto amore,
l’Unigenito, mio diletto Figlio, 
per opera dello Spirito Santo, 
si incarnò nel grembo di questa giovane vergine, Maria,
concepita, per mio Divino Volere, senza macchia di peccato originale.
Nulla è impossibile a Dio.
 
Escono di scena Adamo ed Eva. 
 
Maria:
Cosa succederà ora?
Adesso, che ho detto “Sì” con tutto il mio cuore.
So solo che immensa è la mia gioia 
e l’anima esulta in Dio, mio Salvatore.
È un mistero questo che non mi so spiegare,
che mi avvolge e mi sconvolge,
è un rivolo d’acqua pura che dalle viscere sale e disseta ogni umana creatura.
 
L’angelo dietro Maria esclama con il sottofondo musicale:
 
Signore del Cielo e della terra,
vedi come questa vergine ti adora?
Del tuo profumo si inebria
e come candida colomba si adagerà tra le tue sante mani 
e canterà in eterno la tua misericordia
perché il tuo Spirito già trabocca in lei.
 
Maria continua a parlare:
 
Cosa dirò a Giuseppe?
Quali parole pronunciare!
La ragione non può spiegare 
quel che è avvenuto in me,
ma ho fede nell’Onnipotente Signore, 
Lui mi proteggerà dall’ira 
di chi non potrà capire.
E gli occhi di ogni uomo si apriranno
e vedranno la Divina Luce.
 
Maria esce di scena
  
L’angelo continua:
 
Maria ti adora, Signore del Cielo e della terra,
del tuo profumo si inebria
e come candida colomba si adagerà tra le tue sante mani
e canterà in eterno la tua misericordia
perché il tuo Spirito già trabocca in lei.
 
Interviene l’arcangelo Gabriele:
 
O, Divina Maestà, quale grande privilegio hai concesso a quest’umile fanciulla, 
è la Madre del Messia, tanto atteso. Eppure in lei non vi è orgoglio, né vanità, solo amore, amore verso Te, Signore e verso ogni umana creatura, amore che si spande d’intorno come raggi che rischiarano tortuosi sentieri e conducono alla meta. Vedi, mio Re, come lungi dal pensare a se stessa, si preoccupa di Giuseppe e come allorché le rivelai che anche sua cugina, Elisabetta, nella vecchiaia ha concepito un figlio, lesta si sta mettendo in cammino per farle visita e condividere la gioia per la buona novella. Maria, vive pienamente nella tua Volontà.
 
Quando termina la musica i due angeli escono dalla scena
 
 
SCENA IV
 
La visita di Maria alla cugina Elisabetta
 
 
Entrano sul palco Elisabetta e Maria
 
Elisabetta: Cugina cara, che meraviglia averti qui! Entra nella mia modesta casa. Appena ho udito la tua voce il mio piccolo ha sussultato di gioia nel mio grembo. Benedetta sei tu fra tutte le donne e benedetto il frutto del tuo seno. La madre del mio Signore si è degnata di venire a me, tu che sei la beata perché credesti all’adempimento della Parola dell’Altissimo.
 
Maria: “L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e santo è il suo nome: di generazione in generazione
la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote.  Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre. 
 
Elisabetta: Sì, Maria, è veramente Santo e glorioso il suo nome. Vieni al tempio con me e Zaccaria a rendere grazie all’Altissimo. Spero ti tratterrai a lungo. Abbiamo tante cose da dirci. O, come sono felice di rivederti!
 
Maria: Anch’io Elisabetta. Ma dov’è Zaccaria?
 
Elisabetta: Di là, nella sua stanza. Sapessi, Maria, quel che è accaduto! Zaccaria non ha più parlato da quando l’angelo gli ha predetto la nascita di nostro figlio. Abbiamo tanto desiderato questa mia gravidanza, per un lungo, lunghissimo tempo. Mi sono sempre nascosta per la vergogna come se la mia sterilità fosse una colpa. Ed ora, che siamo avanti negli anni, il Signore, nella sua infinita bontà, si è ricordato di noi, ha ascoltato le nostre preghiere. Ma Zaccaria non ha creduto e da allora nessun suono esce più dalla sua bocca. Perché non credere, mi son chiesta mille volte? I pensieri di Dio son ben diversi da quelli dell’uomo, non possono essere compresi ma accettati sì. 
 
Maria: Elisabetta, non temere, Dio non conosce l’ira.
 
Elisabetta: O, lo so bene. Non sono preoccupata. Riacquisterà la parola, l’angelo lo ha detto, quando mio figlio nascerà, Zaccaria riacquisterà la parola. Dobbiamo solo aver pazienza.
Orsù, andiamo adesso, andiamo a ringraziare il Signore.
 
Escono entrambe dalla scena.
 
 
Scena V
 
Maria rivela a Giuseppe che in lei si è incarnato il Figlio di Dio
 
NARRATORE
 
Maria rimase dalla cugina circa tre mesi. Poi tornò a casa. Era giunto il momento d parlare con Giuseppe, non poteva più tacere. Uscì di casa all’alba col pretesto di andare a riempire l’acqua alla sorgente. E mentre percorreva a piedi quei viottoli erbosi che la separavano dalla bottega del suo promesso sposa, tra se pensava alle parole che avrebbe dovuto pronunciare. Come spiegare quel che le era accaduto? Come non arrecare alcun dolore? Ecco! Si sarebbe affidata a Dio. Se questo era il suo Volere, tutto si sarebbe risolto per il meglio. Con fede e con speranza si recò dal suo promesso sposo. 
 
Entrano in scena Giuseppe e Maria. Inizia un dialogo tra i due.
 
Giuseppe: Maria, tu qui? A che devo tanto onore? 
 
Maria: Posso entrare nella tua casa?
 
Giuseppe: Ma certo. In verità non mi è concesso ricevere la mia diletta sposa in quest’umile dimora prima del grande giorno. 
 
Maria: Ti prego. Devo parlarti.
 
Giuseppe: Devo forse preoccuparmi? Non ti ho mai vista così pensierosa!
 
Maria: Perdonami Giuseppe, non voglio farti soffrire, ma non posso tacere.
 
Giuseppe: Suvvia! Quale grande segreto può celarsi dietro questi limpidi occhi!?
 
Maria: Un segreto? No, non un segreto, ma un Mistero sì.
 
Giuseppe: Un mistero? Non comprendo. 
 
Maria: Sì, Giuseppe, un Mistero, inafferrabile, incomprensibile all’intelletto.
Nel mio grembo, in questo mio virgineo grembo che mai conobbe uomo, si son compiute le Sacre Scritture. 
 
Giuseppe barcolla.
 
Giuseppe: Cosa vai dicendo! 
 
Maria: Ricordi Giuseppe? Le parole del profeta Isaia, ricordi? “Il Signore stesso vi darà un segno: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio e lo chiamerà Emmanuele….” 
 
Giuseppe ricorda e prosegue con voce flebile: Egli mangerà panna e miele finchè sappia rigettare il male e il bene….”. O sì, certo!…La profezia di Isaia….ma non comprendo…
 
Maria: É tutto vero, Giuseppe. Dio ha posato gli occhi su di me, su questa umile creatura che mai conobbe uomo. Non so perché. So solo che questo è il suo Volere. 
 
Giuseppe (colmo di disperazione): No, non posso crederti.  Il Figlio di Dio che si fa uomo! E perché mai ha voluto scegliere te, proprio te, che sei la mia promessa sposa? Non può avermi fatto questo! Non il Dio di Abramo, il Dio dei miei padri; il Dio che conosco e che amo è un Dio giusto, non agirebbe mai come un tiranno.
 
Maria: Non è un tiranno.  Il suo Santo Spirito è sceso su di me, ha preso la nostra umanità. Lo ha fatto per amore verso le sue creature. Credimi…solo per amore…
 
Giuseppe: Non voglio ascoltarti.
 
Maria: Ti prego. Devi credere. Devi aver fede.
 
Giuseppe (sconvolto e abbattuto): Non ora. Dammi tempo. Io non so, non comprendo. Lasciami solo, ti prego.
 
Maria esce di scena affranta.
 
Giuseppe alza la testa e grida nella disperazione.
 
Giuseppe: Perché, mio Dio, perché proprio lei? Ed io …cosa farò ora? Ascolta, Signore, il mio grido di dolore. Sollevami da questa angoscia che mi opprime.
Era la mia promessa sposa, pura, candida e sincera, l’amavo più di me stesso. Mai con un dito l’avrei sfiorata, regina era nei miei sogni, rosea nella pelle e profumata. E adesso, non so, non comprendo questo inafferrabile mistero.
Cosa fare adesso?
Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, cosa è giusto fare?
 
Giuseppe china il capo e a voce bassa riflette.
 
Giuseppe: E se quello che Maria ha detto fosse davvero il progetto di Dio? Non posso ripudiarla come una donnaccia, non posso lasciarla lapidare.
L’allontanerò da me, in silenzio, e annegherò nel mio dolore.
Non voglio più pensare. Pesanti son divenute queste palpebre, confusa è la mia mente. Chiuderò gli occhi per avere un po’ di pace.
 
Giuseppe chiude gli occhi, ha il capo chino e ode la voce di un angelo
 
Angelo (fuori dal palco si ode la sua voce):
 
Giuseppe, figlio di Davide, non temere. Sono messaggero dell’Altissimo.
Placa la tua ira, abbandona ogni paura.
Le tenebre si dissolveranno e una nuova alba sorgerà per l’uomo. 
Casta è la tua sposa, come un giglio pura, fedele alla sua promessa.
Ma Dio l’ha scelta, l’ha plasmata immacolata per accogliere il suo diletto Figlio.
Non c’è tradimento, non c’è offesa. 
Questa è la Volontà Divina per salvare ogni umana creatura.
Sii fiero e riconoscente a Dio, uno e trino, che per troppo amore si è fatto uomo.
Destati, ora! 
Vai e sii paziente e retto. 
Non dubitare mai più di Maria, non allontanarla come un’indegna sposa.
Cresci Gesù, l’Emmanuele, come un vero figlio.
Lodato sarai in eterno nei cieli e sulla terra per il tuo paterno gratuito amore.
 
Giuseppe a quelle parole riemerge come da un torpore. 
 
Giuseppe: Cosa mi succede? Non provo più rancore nel mio cuore. È come se una fiamma avesse bruciato la mia ira ed ora ardo ancor più d’amore per lei, …la mia diletta sposa. Queste parole, udite come in un sogno, esprimono la Volontà di Dio. Voglio credere. Voglio fidarmi anche se non comprendo. Ho sbagliato, ho dubitato della fedeltà di Maria. Come ho potuto farle questo? Le parlerò. Le chiederò perdono. La nostra unione è benedetta dal Signore. Si compiano le Sacre Scritture.
 
Giuseppe esce di scena.
 
 
 
 
FINE PRIMO ATTO
 
 
 
 
II ATTO
 
Scena I
 
Le nozze tra Maria e Giuseppe
 
 
Narratore:
 
Volle l’Onnipotente rivelarsi all’uomo attraverso l’Unigenito Figlio. Così fu scritto e così avvenne.
Giuseppe credette alle parole dell’angelo e non ripudiò, né allontanò in silenzio la sua promessa sposa,  consapevole oramai del grande privilegio che il Signore volle concedere a Maria, la maternità di  Colui che avrebbe redento e salvato il mondo. E Giuseppe, un povero falegname, avrebbe cresciuto, custodito e amato come suo figlio quel tenero bambino. Venne così il giorno delle nozze e per le vie di Nazareth si udivano canti festosi.
 
Entrano in scena donne in costume che danzano.
 
Quando termina la danza, i danzanti si posizionano in fondo al palco ed entra in scena un sacerdote, seguito da Giuseppe.
 
Il sacerdote si posiziona nel centro del palco, mentre Giuseppe lateralmente.
 
Una danzante  grida con voce festosa: “La sposa, arriva la sposa”.
 
Entra Maria accompagnata dal padre Gioacchino .
 
Si posizionano al lato opposto di Giuseppe.
 
Gioacchino: Giuseppe, ti consegno mia figlia, quanto di più prezioso Dio mi ha donato. Ora è tua, veglia su di lei e amala più di te stesso.
 
Gioacchino si allontana e si posiziona accanto ai danzanti.
 
Il sacerdote, al centro tra Giuseppe e Maria: 
 
Siete qui figlioli per unire le vostre vite e camminare insieme lungo la strada che conduce al Signore.
Poi volgendo lo sguardo a Giuseppe continua: Vuoi tu, Giuseppe, prendere come tua sposa Maria, sinché morte non vi separi?”
 
Giuseppe guarda Maria, le sorride e risponde al sacerdote “Sì, lo voglio”
 
Sacerdote (rivolto a Maria): E tu, Maria, vuoi prendere come sposo Giuseppe, sinché morte non vi separi?
 
Maria volge lo sguardo verso Giuseppe, sorride e risponde: “Sì, lo voglio”.
 
Sacerdote: Sia benedetta questa unione dal Signore. L’uomo non divida ciò che Dio unisce. Andate e moltiplicatevi, la luce di Dio risplenda sempre nei vostri occhi.
 
Giuseppe e Maria si voltano verso il pubblico scambiandosi queste parole.
 
Giuseppe: Tu sei mia moglie e né acqua, né fuoco, né spada mi separeranno da te in questa terra. Sarò il tuo scudo, la tua roccia, perché così ha voluto il Signore. Ma tu appartieni a Dio ed io mi inchino dinnanzi alla Divina Maestà. L’Onnipotente ha benedetto la nostra unione e la nostra discendenza. Ti prometto, e il Signore mi è testimone che non sto mentendo, che amerò questo bambino che custodisci nel tuo grembo come mio vero figlio, lo difenderò da ogni insidia, lo crescerò e gli insegnerò il rispetto, la giustizia e il perdono. Gli parlerò di Jahvè e di Mosè che condusse il nostro popolo fuori dall’Egitto. Finché avrò vita nulla dovrà temere, perché io veglierò su di Lui e su di te, mia dolce sposa.
 
Maria: Benedetto sia l’Onnipotente Signore per questo gratuito dono. 
 
Una danzante grida: Forza, riprendiamo le danze. Lunga vita agli sposi!
 
Tutti in coro: fecondità agli sposi!
 
E mentre riprendono le danze sul palco con la musica, Giuseppe  mette un braccio intorno alle spalle di Maria ed escono di scena. Alla fine della danza escono anche i danzatori.
 
 
 
 
Scena II
 
La nascita di Gesù
 
 
Narratore (con sottofondo musicale)
 
Maria era già al nono mese di gravidanza quando un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento su tutta la terra e così i due sposi dovettero recarsi a Betlemme, la loro città natia.
 
Entrano in scena due ostesse e si posizionano ai lati opposti del palco. 
 
Entrano sul palco Giuseppe e Maria. Giuseppe ha un braccio intorno alle spalle di Maria. Cerca di coprirla con il suo mantello. Si avvicinano alla prima ostessa.
 
Giuseppe: Scusate, è tanto che giriamo in lungo e in largo e nessuno ha un posto per me e mia moglie.
 
Ostessa: Non sapete che c’è il censimento? Non abbiamo più letti a disposizione. 
 
Giuseppe: Vi prego, per carità, ci basterebbe un angolino all’interno, anche sul pavimento. Qua fuori fa troppo freddo e mia moglie è in procinto di partorire. 
 
Ostessa: È inutile che insistete. Se non c’è posto, non c’è posto. Credete forse che mi faccia piacere lasciarvi fuori con questa neve? Ma non posso accontentarvi. Andate più avanti. Forse troverete qualcosa.
 
Giuseppe: Sì, scusate. Proverò più avanti.
 
L’ostessa esce di scena. 
 
Giuseppe fa un giro largo del palco, tenendo a se stretta Maria.
 Poi si rivolge alla seconda ostessa 
 
Giuseppe: Vi prego, avete…
 
Ostessa: Prima che parliate vi dico subito che non c’è posto. Siamo pieni sino al collo.
 
Giuseppe: Abbiate pietà di una giovane donna gravida. Fate entrare almeno mia moglie, io rimarrò fuori. 
 
Ostessa: Non se ne parla nemmeno. C’è un bordello qui dentro e voi mi dite di far entrare una donna incinta? E per giunta con le doglie? Andate via. Non voglio una rissa.
 
Si allontana dal palco la seconda ostessa.
 
Giuseppe al centro del palco si copre il viso con le mani, disperato, poi alza gli occhi al cielo.
 
Giuseppe: Mio Signore, vieni in nostro soccorso. Dove possiamo andare?
 
Si ode una voce dietro le quinte.
 
Angelo: 
Non disperare. Dio non abbandona chi ha bisogno. Prendi Maria, cammina ancora, vai avanti, troverai una stalla.
 
Giuseppe abbraccia Maria.
 
Giuseppe: Vieni, Maria.
 
Maria: Sono stanca, non ho più forze.
 
Giuseppe: Ancora pochi passi, c’è una stalla là in fondo.
 
Maria: Come lo sai?
 
Giuseppe: Ho udito una voce, un angelo del Signore. Non siamo soli Maria. Coraggio.
 
Maria si aggrappa a Giuseppe ed escono di scena.
 
Entrano in scena due pastori.
 
Pastore n.1: Guarda lassù. È una notte piena di stelle.
 
Pastore n. 2: E quella? Non l’ho mai vista. Sembra che stia cadendo su di noi.
 
Pastore n. 1: Non sta cadendo. È solo grandissima.
 
Pastore n.2: È vero. È bellissima. Sembra quasi di toccarla.
 
Si ode una musica celestiale. La musica è quella “Nel dipinto d’amor”
 
Pastore n.1: E questo suono? Da dove viene?
 
Entra in scena l’arcangelo che annuncia la nascita di Gesù.
 
Arcangelo:
 
È nato Gesù, è nato il Redentore del mondo. 
La volta stellata del cielo si incurva come fosse un manto. 
Il cielo e la terra, uniti quasi in un sol respiro, 
si inchinano innalzi a questo tenero bambino 
mentre soave si espande un armonico canto.
Venite, accorrete, viandanti e pastori. 
Voi che cercate la pace, che afflitti piangete sulle vostre miserie. 
Rallegratevi, esultate, lodate il Signore perché infinito è il suo amore. 
Quando mai si è visto un re che si abbassa a soccorrere il suo servitore? 
Che abbandona il suo regale palazzo per abitare in una misera stalla? 
Dove son finite le sue vesti dorate, le gemme preziose e le ghirlande di fiori? 
Guardate, umane creature, come si è fatto simile a voi il Creatore dell’intero Universo. 
Non c’è frusta, né scettro tra le sue mani. 
Ha sembianze di un bimbo che brama carezze, 
che si abbandona docilmente tra le tenere braccia di una giovane e dimessa vergine, 
per smorzare gli insani rancori, per commuovere i vostri duri cuori.
 
Pastore n.1: che musica celestiale!
 
Pastore n.2: Guarda, la stella si muove!
 
Pastore n.1: È vero! La stella si muove. Seguiamo la stella.
 
Pastore n.2: Sì, seguiamo la stella.
 
Escono i due pastorelli dalla scena. 
Entrano sul palco Giuseppe e Maria con in braccio Gesù bambino, seguiti da un angelo. Si posizionano al centro del palco. L’altro angelo che aveva prima annunziato la nascita si posiziona anche lui dietro la Sacra Famiglia con le mani giunte.
 
Giuseppe depone a terra una cesta con paglia.
 
Giuseppe: Ecco, adagialo qui, su questo fieno.
 
Maria pone Gesù nella cesta.
 
Maria: È bellissimo! È il Figlio di Dio ed è anche nostro figlio.
 
Giuseppe: Gesù è il suo nome. Dio me lo ha rivelato, Gesù, colui che salva.
 
Maria: Li senti anche tu, Giuseppe? Li senti questi cori di angeli? Benedetto l’Onnipotente Creatore, 
che si è fatto piccolo per venire in mezzo agli uomini e ha scelto me, umile serva, come sua regale dimora.
 
Giuseppe : Sì, Maria, ho udito. È tutto vero quello che l’angelo mi aveva predetto in sogno. 
Ed io ho creduto. 
Le Sacre Scritture si sono compiute. Il Signore è tra noi.  È in questa mangiatoia che sorride beato, è negli animi di chi soffre e cerca consolazione, di chi ha atteso a lungo la sua venuta.
 
Ora Maria e Giuseppe si pongono dietro la culla sempre nel centro del palco.
 
I due angeli iniziano a lodare il Signore.
 
Arcangelo:
Suonate or dunque arpe e violini, 
ogni ginocchio si pieghi in preghiera.
Lodate tutti la misericordia di Dio
che ha a cuore la sorte dei propri figli 
e li condurrà nell’eterna sua Gloria alla fine dei tempi.
Benedetto il suo Santo nome e chi lo invoca con rispetto e timore. 
Alleluia, alleluia, è nato il Redentore.
 
Finisce la musica “NEL DIPINTO D’AMOR”.
 
L’altro angelo canta “LA SACRA FAMIGLIA” di cui è autrice sia del testo che della musica la soprano Dora Saporita.
 
Entrano in scena i pastori che offrono una cesta di viveri e i re magi che offrono l’oro, l’incenso e la mirra.
 
Termina la canzone “La Sacra Famiglia” e il coro canta “Tu scendi dalle stelle” e “Astro del Ciel”.
 
 
 
FINE SECONDO ATTO
 
 
 
 
III ATTO
Scena I
L’infanzia di Gesù 
 
Narratore (dietro le quinte)
Quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, Maria e Giuseppe si recarono al tempio di Gerusalemme per presentare il bambino al Signore e offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore. Fu lì che Maria incontrò un anziano sacerdote di nome Simeone, il quale, alla vista del Messia, lo prese tra le braccia e benedisse Dio dicendo: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele. Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E a te, Maria, una spada trafiggerà l’anima”. Nell’udire queste parole, ricolma di stupore, la Vergine comprese di aver condotto Gesù al Tempio non tanto per riscattarlo come gli altri primogeniti, ma piuttosto per essere offerto a Dio in autentico sacrificio.
Intanto Gesù cresceva.
Si apre la scena con Giuseppe che lavora il legno, Gesù di circa 8 anni seduto a terra e Maria che cuce.
Gesù (si rivolge a Giuseppe): Padre, come si lavora il legno?
Giuseppe: Se vuoi imparare, figliolo, guarda me. Lo vedi questo bel tronco? Va lavorato con cura, con amore. C’è vita anche in questo pezzo di legno. Prima era un imponente faggio, robusto e rigoglioso. Gli uccelli facevano i loro nidi tra le foglie e crescevano i loro piccoli. E i viandanti riposavano ai suoi piedi, al riparo della calura. Da piccolo mi arrampicavo tra i suoi rami per non farmi trovare quando giocavo a nascondino. Era davvero divertente. 
Gesù: Perché lo hai tagliato padre? Un albero così bello!
Giuseppe: Vedi, figliolo, tutto è bello quel che è creato da Dio. Ma nostro Signore ha voluto donarci  ogni cosa per il sostentamento dell’uomo. Quest’albero non è morto, non è sprecato. Diverrà un solido letto, oppure una bella credenza dove riporre le pentole e i piatti. Lui vive ancora sotto un’altra forma. Si è sempre vivi quando si è utili agli altri.
Gesù: Hai ragione, papà, continua a vivere chi ama.
Giuseppe: Vai ora, vai un po’ a giocare con gli altri bambini. Lo sai che ti aspettano. Ti chiamerò io se avrò bisogno di te.
Gesù si alza, dà un bacio sulla guancia al padre e alla madre ed esce di scena.
Maria guarda con affetto Giuseppe.
Maria: Grazie Giuseppe, ti prendi cura di Gesù e di me come un buon padre e un fedele marito. Grande sarà la ricompensa nei cieli. Gesù ti ama, ma io so che la sua mente e il suo cuore sono un tutt’uno con l’eterno Padre. Talvolta mi soffermo a guardarlo mentre prega Dio nell’oscurità della sua stanza e il suo fervore è così intenso da travolgere tutta me stessa. Non riesco a staccare gli occhi da Lui e avverto in fondo all’anima che pur essendo la madre che lo ha generato, sono io piuttosto la figlia che confida in Lui. E imparo da questa innocente creatura, umana e divina, e custodisco la sua Parola nel mio cuore.
Entra Gesù in casa piangendo: Madre, madre!
Si getta nelle braccia di Maria.
Maria: Gesù, che è successo? Ma tu sanguini!
Maria lo abbraccia e gli tampona con la veste il sangue che esce dalle ginocchia. Poi gli asciuga le lacrime con un bacio.
Maria: sei caduto? Ti fa tanto male?
Gesù: No madre, tra le tue braccia non sento più il dolore.
Maria: Capita di cadere quando si corre.
In quel momento entra un bambino più grandicello di Gesù e più robusto di nome Ismaele.
Ismaele: Gesù, mi dispiace, non volevo spingerti, non intendevo farti del male. Volevo solo vincere la corsa e non ti ho visto. Perdonami.
Gesù: lo so che mi vuoi bene. Non ce l’ho con te. Sono corso dentro casa perché mi faceva tanto male e avevo bisogno dell’abbraccio di mia madre. Ora è passato. 
Ismaele: siamo sempre amici, allora?
Gesù: siamo più che amici, siamo fratelli. 
E Gesù lo abbraccia.
Ismaele: Nessuno mi ha mai detto così. Tutti mi prendono in giro perché sono grosso e rozzo. Non sono abituato alle belle maniere. I miei genitori quando sbaglio mi puniscono con la cinghia. La tua invece è una bella famiglia. O Gesù, vorrei tanto anch’io un abbraccio da mio padre e da mia madre.
Gesù lo guarda commosso.
Gesù: Vieni, torniamo a giocare. Non avere timore. Vedrai che nessuno alzerà più le mani su di te.
Gesù ed Ismaele escono di scena.
Maria alza gli occhi al cielo e sospira: Il tuo Spirito è in Lui, Padre misericordioso. Gloria e lode nei secoli al mio Signore.
Maria poi si rivolge a Giuseppe: Andiamo di là mio consorte. É quasi l’ora di consumare il pasto e anche tu hai bisogno di riposare.
Escono entrambi di scena.
 
 
 
 
Scena II
Maria e Giuseppe smarriscono Gesù a Gerusalemme
 
Entrano in scena dei venditori ambulanti con alcune stoffe sulle spalle. Si posizionano ai due angoli del palco.
Un mercante: Accorrete gente. Tre denari, solo tre danari per questa stoffa ricamata a mano con fili d’oro. 
Un altro mercante: Avanti, che aspettate! Mantelli di pura lana, caldi ed eleganti. Venite. Tutto a buon prezzo. 
Entrano in scena signore che si fermano a guardare. Danno monete in cambio di stoffe ed escono dalla scena. Entrano sul palco Maria e Giuseppe.
Giuseppe: Quanta gente. Come ogni anno Gerusalemme si riempie di stranieri per la festa di Pasqua. Stiamo vicini, Maria, per evitare di perderci.
Maria: Sì, Giuseppe. Tieni tu la mano a Gesù.
Giuseppe: Perché non è con te?
Maria: No. Era qui, ma non lo vedo più, pensavo che fosse accanto a te. 
Giuseppe: Non perdiamoci d’animo. Stai tranquilla, si sarà fermato più indietro a guardare.
Giuseppe fa qualche passo indietro e si rivolge al primo mercante.
Giuseppe: Avete visto un bambino di circa dodici anni, gracile, con una piccolo tunica?
Mercante: Chi volete che veda in questa confusione! Cercate altrove.
Giuseppe si rivolge ad un altro mercante che sta vendendo una stoffa ad una donna.
Giuseppe (con tono preoccupato che denota ansia): Scusatemi, sto cercando un bambino di dodici anni, capelli corti, castani, era qui accanto a me, l’avete visto?
Mercante: No, mi dispiace.
Giuseppe si gira intorno, e chiama: Gesù, Gesù, dove sei?
Maria al centro del palco, stordita, guarda Giuseppe che corre da una punta all’altra del palco fermando i passanti che incrocia.
Giuseppe si rivolge ad una donna che entra in scena.
Giuseppe: Avete visto un fanciullo? Ha solo 12 anni, si chiama Gesù.
La donna interpellata esclama: Gesù? Non so chi sia. Potevate tenerlo per mano! Chissà dov’è finito?
Giuseppe si avvicina a Maria.
Giuseppe: Non lo trovo. Vieni. Allontaniamoci da questa folla. Torniamo più indietro. Forse si è fermato a Gerusalemme.
Maria: Giuseppe ho paura!
Giuseppe: Maria non temere, lo troveremo. Dio è con noi. Non gli è accaduto nulla di male. Vieni.
Giuseppe e Maria escono dalla scena.
Un mercante (rivolgendosi ad un altro mercante): Hai visto quei due? Hanno perso il figlio.
L’altro mercante: Poveretti! Che Dio li assista!
Escono tutti dal palco.
 
 
Scena III
Gesù predicava alle genti
 
Entrano in scena alcuni dottori della legge, si posizionano l’uno accanto all’altro davanti al pubblico.
Primo Fariseo: Ebbene, chi è questo fanciullo che osa competere con i dottori della legge?
Secondo Fariseo: Non lo sappiamo. Ieri lo hanno interrogato. Dicono che conosce a fondo le Sacre Scritture.
Terzo Fariseo: Sono testimone di quanto avvenuto. Ha lasciato sbalorditi tutti per la sua saggezza. 
Primo Fariseo: E perché oggi non è qui al tempio? Vorrei conoscerlo anch’io.
Il terzo Fariseo: Ieri erano già tre giorni che predicava nel tempio quando entrarono il padre e la madre. Lo cercavano accorati ma non ebbero parole di rimprovero nei suoi confronti. Solo gli dissero “Perché ci hai fatto questo? Ti cercavamo angosciati”.
Primo Fariseo: E lui cosa rispose?
Terzo Fariseo: “Una risposta alquanto strana. Perché mi cercavate? Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio? E da allora non si è più visto”.
I dottori della legge escono di scena.
Entra l’arcangelo sul palco e si rivolge al pubblico: 
Altri anni passarono e Gesù ne aveva già compiuti trenta quando iniziò a predicare, prima in Galilea e poi a Gerusalemme. Schiere di uomini e di donne lo seguivano incuriositi, attirati non tanto dalla sua Parola quanto piuttosto dai miracoli che faceva lungo il cammino. Chi è quest’uomo? Si chiedevano sbalorditi dai suoi gesti. Non si era mai visto alcuno che guarisse i lebbrosi, che restituisse la vista ai ciechi e l’udito ai sordi, né che risuscitasse i morti o cacciasse i diavoli. Ma Gesù sfuggiva alla folla. Non era la fama che cercava ma l’apertura dei cuori, cuori umili, disposti ad accogliere il suo messaggio di fratellanza, di amore tra le genti. Lui era venuto sulla terra per salvare l’umanità intera, un’umanità fragile, indifesa, in balia del male. Questa era la Volontà del Padre e tutto avrebbe sopportato pur di ricondurre le anime alla Divina Fonte, tutto, finanche la morte. Alcuni discepoli, da Gesù scelti, lo seguivano ovunque Lui andasse, e pur non capendo appieno le sue Parole, in cuor loro cresceva la fede, la certezza che quel figlio di falegname fosse il Messia, profetizzato e tanto atteso. Dovevano compiersi in Cristo le Sacre Scritture e le attese di Israele. Ma a quale prezzo? Sarebbe bastato il sangue dell’agnello, immolatosi per la redenzione di tutti i peccati ad indurre ogni creatura alla conversione? O sarebbe stato l’inizio di persecuzioni, di vittime innocenti? La lotta tra il bene e il male non conosce soste, né confini, ma il sacrificio di Gesù sulla Croce ha già salvato l’uomo. Alla fine dei tempi tutto ricapitolerà in Cristo e le forze oscure soccomberanno gettate negli abissi infernali. Questa è la fede della Chiesa, di una Chiesa in cammino sotto la guida di Maria, Madre dell’umanità per Volontà Divina. Accogliete, umane creature, con riconoscenza, il gratuito dono della salvezza e ritornerete alla vera Fonte della vita.
Entra un secondo angelo sul palco e canta l’Ave Maria.
Riprende la parola l’arcangelo e chiude la recita con le seguenti parole.
 
Arcangelo:
Popoli tutti vicini e lontani, oggi e per sempre, elevate al Redentore del mondo quest’umile preghiera.
 
Sei nato per amore, solo per amore.
 
Non hai voluto un castello per dimora, pur essendo il re dell’Universo, 
né scegliesti una città vetusta come Roma, sede di gloria e di potere.
 
No. Ti bastò una piccola grotta nella dimenticata Betlemme, 
e in quella gelida notte d’inverno preferisti il calore delle braccia di tua madre e il debole tepore del soffio di un bue e di un asinello.
 
É l’amore che scalda i cuori e alimenta la vita, e Tu, sei la Fonte di quell’amore.
 
Nulla poteva sopprimerti, né il freddo o la fame, né l’odio di Erode.
 
E quando poi hanno lacerato le tue membra, crocifisso in due assi di legno, 
neanche allora ti hanno tolto la vita.
 
Si, è vero, è cessato il battito del Tuo cuore dopo un ultimo sospiro: 
“Padre, rimetto il mio spirito nelle tue mani”.
 
Ma quella morte non fu la fine, ma l’inizio di tutto.
 
Hai aperto i nostri occhi alla Verità.
Con la tua risurrezione hai sconfitto la morte, dimostrando a tutti che la vita esiste ed è eterna.
 
Cos’altro dovresti fare per convincere noi misere creature? Nulla, mio Signore.
 
Hai voluto donarti a noi assumendo la nostra stessa condizione umana, 
sperimentando il dolore ed una morte cruenta.
 
Nulla abbiamo più a pretendere da Te.
 
Solo una cosa ti chiediamo, Dio misericordioso. 
Apri il nostro arido cuore quel tanto che basta per comprendere il Tuo Amore. 
Il resto verrà da sé.
 
 
FINE TERZO ATTO
 

IN CAMMINO CON MARIA

L'autrice, inoltre, cura la pubblicazione della rivista In cammino con Maria;
A questo link il numero 1 in formato pdf;
qui il secondo numero, sempre in pdf;
terzo numero;
quarto numero;
quinto numero.

RECENSIONE AL TESTO TEATRALE

Ancora una volta Rosa Mingoia, con la trasposizione teatrale del suo romanzo, “Rosalia De’ Sinibaldi”, rivela le poliedriche qualità artistiche che la caratterizzano. Infatti, oltreché essere nota scrittrice, poetessa e pittrice, adesso rivela le sue ottime qualità drammaturgiche, mettendo in scena il suo omonimo romanzo che tratta, come il titolo stesso comunica, la storia di Santa Rosalia, patrona di Palermo, per aver liberato i suoi cittadini dalla pestilenza.
L’opera è un inno alla libertà, una denuncia delle convenzioni sociali che talvolta, proprio presso la nobiltà, erano inoppugnabili ed inderogabili, pena la reputazione della famiglia, l’offuscarsi della sua fama, ma a Rosalia poco interessa tutto ciò, perché lei è innamorata di qualcun altro, di qualcuno che trascende i limiti delle convenzioni sociali, di qualcuno che è al di là dei limiti umani: lei è innamorata di DIO, che trascende il tempo e la storia e non condivide i compromessi a cui spesso si adegua il genere umano. 
Rosa Mingoia, con abilità, sa rendere il travaglio psicologico della ragazza che con tenacia resiste sino ad allontanarsi dalla famiglia e ad andarsene da sola sul monte Pellegrino, in un grotta dove, pur subendo varie tentazioni demoniache, può esplicare appieno il suo Amore, prima da viva verso Dio, attraverso un continuo dialogo con Lui e gli Angeli e poi da morta per la sua città, liberandola dalla peste. 
Un dramma sostanzialmente a lieto fine, caratterizzato da battute pregnanti, tutte confluenti appieno a rendere vivi sia i parametri mentali della nobiltà del tempo, quanto il travaglio interiore di Rosalia che, nell’ assolutezza del suo amore verso Dio, riesce a sconfiggere sia le imposizioni familiari, sia le tentazioni demoniache. 
Le didascalie ampie e dettagliate aiutano il lettore e il regista a costruirsi l’immagine mentale dei luoghi e alla conoscenza del contesto sociale che lo caratterizza.
Una rappresentazione scenica fedele anche nei costumi, sicuramente potrebbe avvalorare il valore storico, religioso ed artistico del dramma.  
Prof.ssa Francesca Luzzio


Primo atto del dramma ROSALIA DE' SINIBALDI (dramma in tre atti) pubblicato con IL CONVIVIO EDITORE;
cliccando qui potete scaricare il file pdf per leggere l'opera off-line  

SI PUĂ’ SEMPRE RICOMINCIARE

Prefazione
 
Andrea è un modesto operaio che si innamora di Marianna, ricca studentessa universitaria. Il loro è un amore contrastato perché i genitori della ragazza desiderano per la figlia un matrimonio con qualche ricco rampollo della cittadina dove risiedono. Ma Marianna è determinata, per seguire l’uomo che ama, rinuncia a tutto, ricchezza, studi, l’affetto dei genitori. Questo scatena in Andrea una ossessione: conquistare una posizione sociale e guadagnare parecchio denaro per restituire alla moglie quello che ha perduto. Tale obiettivo lo spinge a lavorare senza sosta, a trascurare le persone che più ama. Non si rende conto che la vera felicità non consiste nel possedere. Divenuto imprenditore di successo, sarà proprio l’utilizzo smodato della ricchezza ad incrinare il legame d’amore con Marianna, a condurre sulla cattiva strada la moglie e il figlio, viziati ma carenti del suo affetto. Purtroppo la vita è imprevedibile e riserva sempre delle sorprese. Per una serie di sfortunate circostanze, la ruota gira nuovamente all’inverso ed Andrea si ritrova all’improvviso pieno di debiti e in fallimento.
Sarà la sua misteriosa morte a scuotere le coscienze, ad indurre Marianna e il figlio Luca, ridotti in povertà, a ritrovare i valori della vita, a riacquistare la loro dignità di essere umani perché, quando si vuole, si può cambiare, se si vuole… si può sempre ricominciare. 
Non è solo un semplice romanzo d’amore, è qualcosa di più. É uno scavare a fondo nei sentimenti dei protagonisti di una storia nata nel dopoguerra e raccontata sin quasi ai nostri giorni. Una storia di relazioni tra coniugi ma anche di rapporti difficili con figli adolescenti, calata in un contesto sociale in continua evoluzione che può influenzare anche negativamente le persone. É uno scontrarsi con una società consumistica ed arrivista in cui bisogna talvolta scendere a compromessi per poter emergere, per essere accettati dagli altri. É un intrecciarsi di eventi d’amore e di grande sofferenza, di altruismo e di corruzione.
É un romanzo che scuote le coscienze, facendo emergere la sensibilità del lettore, inducendolo a riflettere sui valori dell’esistenza, regalando nel contempo un messaggio positivo, di voglia di cambiamento e di speranza.

Cliccando su questo link potete scaricare il XIII capitolo del romanzo

VORREI ESSERE LIBERA

Vorrei essere libera,
realmente libera dai condizionamenti 
di una società arrivista
che impone regole di convivenza
basate sul compromesso 
e non sul rispetto della dignità di ogni uomo. 
 
Vorrei essere libera dai pregiudizi della gente
che cataloga ogni essere umano,
lo etichetta quasi fosse merce di scambio,
lo emargina come uno straccio vecchio 
o lo esalta al pari di un Dio.
 
Vorrei essere libera dalle mie paure
su un domani incerto,
per le malattie che mi colpiranno,
per le sconfitte che questa vita riserva 
senza alcuna pietà.
 
Vorrei essere libera dalle prevaricazioni,
di chi insegue falsi idoli,
di chi si impone senza autorevolezza,
di chi non ha nemmeno una coscienza.
 
Vorrei essere libera dalle tentazioni,
dalle lusinghe del maligno
che raggira e ammalia con le sue movenze
mostrando bello e attraente
ciò che è orribile e perverso.
 
Vorrei librarmi nello spazio infinito
come le rondini che solcano l’azzurro del cielo,
come gli augelli di bosco 
che cantano tra arbusti verdeggianti,
nutrendosi di bacche e di mirtilli.
 
Invece mi ritrovo inchiodata su questa misera terra,
dove regna vanità e superbia,
dove è debole chi insegue la giustizia,
chi si sforza di agire con misericordia. 
 
Vorrei possedere la determinatezza dei Santi,
il coraggio di rinunciare alle cose futili
e alzare gli occhi oltre la sommità dei monti
con le braccia spalancate
come l’umile fraticello d’Assisi
e ripetere con incontenibile fede nel petto:
"Sono libera, mio Dio,
perché ho Te nel mio cuore
e il tuo amore mi basta".
 
 

E MI INTERROGO

Se volgo lo sguardo all’intero cosmo,
alle molteplici varietà delle tue creature,
allo scorrer sempre uguale delle stagioni,
al susseguirsi delle genti nel corso dei secoli
animate dal tuo alito di vita che muove ogni cosa,
mi chiedo chi son io che m’incanto e mi perdo
dinnanzi all’immensità dell’universo.
 
Sconvolta mi interrogo su questa mia persona
che pensa, gioisce e si addolora,
che brama talvolta l’impossibile
e disperatamente cerca ciò che non sempre trova
e afflitta, sospira e si abbandona all’incomprensibile,
ad una realtà difficile da metabolizzare se vacilla la fede.
 
Eppure so quanto mi ami, Signore del cielo e della terra,
più di quanto io possa amare me stessa
e giustifichi le mie debolezze
che non riesco sovente ad accettare
perché vorrei essere paziente e buona come Te.
 
Ma Tu guardi al cuore di ogni uomo e di ogni donna
e se scorgi anche un barlume di bene,
l’umiltà nel riconoscersi indegni peccatori,
il travaglio spirituale che conduce alla purificazione,
non ti assurgi a giudice,
non condanni le tue piccole creature
ma mosso a compassione, le prendi per mano
perché nessuno si perda lungo il cammino.
 
Sì, mio buon Gesù, resta al mio fianco,
affinché avverta la Tua presenza nel momento della prova.
In Te confido, in Te spero,
in Te rinasco e glorifico l’eterno Padre.
 


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