Andreetti Solari Francesca: la poetessa è di Firenze.
 



Con Carta e Penna ha pubblicato:

IL SENSO DELLA VITA

Copertina libro
Dalla prefazione di Marzia Carocci:
Francesca Andreetti Solari ci trasporta nel suo mondo fatto di emozioni e di ricordi. Il suo viaggio poetico è il percorso di una vita dove il sentimento, la nostalgia e l'amore per ciò che è stato, rinasce in questa piccola e ricca silloge di essenza umana. Ella, attraverso una semantica ricca di immagini e rimembranze, fa rivivere attimi intensi e le riflessioni di una donna che porta nel ricordo pagine di esistenza fatte di adolescenza, di amore, di sentimento materno, di emozioni nel ricordo del paese natio e di un indissolubile amore e rispetto per l'uomo che ha amato: suo marito. Belle e suggestive alcune immagini dove, grazie alla descrizione minuziosa della poetessa, riusciamo a farle nostre e ci rendono partecipi della sua vita, dove riflette quella semplicità e purezza d'animo che delinea un carattere sensibile e altamente altruista; ella non dimentica all'interno di questo libro, dediche personali e riflessi che portano luce degli anni remoti, nell'abbraccio di una nostalgia che coinvolge e convince il lettore. Francesca Andreetti Solari, attraverso le sue liriche, apre un'esplorazione attraverso la reminiscenza, grande risorsa umana dove il tutto resta immutato e gelosamente custodito, la sensibilità; ricchessa e patrimonio del cuore.


Per i lettori di Carta e Penna ha scelto:

GRANDE GUERRA 1915 - 1918

E’ pomeriggio, accendo la televisione.    
Vedo il Dr. Giacobbo, conduttore di Freedom, camminare affondando nella neve assieme   ai suoi collaboratori per le riprese, lungo il grande viale che porta alla vetta del Monte Grappa.
Mi appare l’immenso edificio, molto ampliato negli anni e dichiarato Sacrario del Grappa, che custodisce le salme dei soldati deceduti.                 
La costruzione è rotondeggiante ed a strati che sembrano innalzarsi al cielo.
In perfetto ordine e sul davanti di essa ci sono migliaia di loculi.
Sin dall’inizio la guerra dichiarata dall’Italia all’Austria – Ungheria non era stata ben organizzata.           
Questa Nazione già occupava da tempo una parte del suolo italiano.
Alcuni dei nostri Generali al comando erano spesso in contrasto tra loro e mandavano a morire migliaia di giovani senza esercitazioni e con una divisa non appropriata.
Le trincee si riempivano di acqua gelata per il grande freddo e molti militi morivano di polmonite mentre l’esercito austro-ungarico era ben preparato e vinceva sul campo.
Nel silenzio solenne del Sacro luogo la mia sensibilità va oltre; odo il rumore della battaglia, gli ordini dei superiori ai fanti, i lamenti di dolore dei feriti ed all’infinito l’invocazione alla madre.    
Penso a quei ragazzi impreparati a combattere un nemico accorto ma nel contempo il mio pensiero va a tutti quei giovani divisi dal conflitto ma uniti dalle stesse sofferenze.                      Intanto continuava la guerra e l’esercito italiano subiva molte perdite.
Nell’ultimo periodo del conflitto il comando della IV Armata fu affidato al Generale Giardino, il quale migliorò le condizioni di vita dei giovani e salì con essi sulle montagne a combattere, e la sua tattica fu decisiva per la fase finale del conflitto.
Ma ci fu la disfatta di Caporetto ove il nemico conquistò diverse postazioni e sembrava tutto perduto ma il valore, la tenacia, l’eroismo dei nostri soldati fece si che il nemico non attraversò i fiumi Isonzo e Piave e retrocesse, paese dopo paese, sino ad arrivare a Vittorio Veneto, “mio paese natale”, ove nel novembre del 1918 ci fu la battaglia finale.
Il ricordo è lontano ma per me caro perché raccontato dalla mia famiglia.
All’inizio del grande viale di Vittorio Veneto che porta al Municipio c’è una fonte ove, nel mezzo di essa, è posta una statua di marmo che raffigura una giovane donna che invita i passanti a bere.
Quando i soldati esausti entrarono nella cittadina si dissetarono con quell’acqua limpida e fresca. L’esercito austro ungarico si arrese, ci furono migliaia di prigionieri e l’Italia vinse la guerra.
L’Alto Ufficiale Giardino chiese di essere sepolto dopo la sua morte sul Monte Grappa insieme ai suoi soldati e così è stato.
In posizione laterale al sacrario ci sono le tombe dei soldati austro ungarici e vedo il Dr. Giacobbo che si reca presso un loculo piano terra con la scritta Peter Pan, un giovane ungherese di 21 anni. Tutto ciò mi ricorda il racconto del ragazzino che non voleva crescere invece questo avrebbe voluto vivere la sua giovinezza.          
Il conduttore si inginocchia sulla neve e con voce sommessa, quasi per non turbare il silenzio del luogo, con il rispetto e l’educazione che gli è consona, ci indica il loculo del ragazzo ungherese.  
Allora, oltre al conduttore, vedo un cittadino del mondo che rispetta tutti gli esseri umani, liberi delle proprie azioni, liberi di professare la propria religione, liberi di esprimere le proprie idee. Sono però consapevole che non ci sarà mai una completa aggregazione tra gli umani perché da quando esiste il mondo prevale l’istinto primordiale della sopravvivenza: “Il più forte domina il più debole.
Buona parte dell’umanità cerca di arginare questa triste e dura realtà ma finora i risultati sono molto limitati.
Ma, al di là di questo pensiero pseudo filosofico, mi auguro che le belle anime di questi giovani eroi alberghino per sempre in questi Sacri Monti.


P.S. Un sentito grazie alla Direzione di “Carta e Penna” chepubblica sulla rivista e sul web questo storico evento e a Francesca Guida che ha collaborato alla stesura dello stesso.

L'AMORE

Quando mi sovvien pensare all’amore universale che Wagner dona alle sue opere, mi piace immaginare un grande fiore dal cui pistillo nascono i petali con impresso in ognuno di essi un distinto amore .
E fu subito amore la prima volta che ti vidi, osservando il tuo sorriso sul tuo bel volto.
E’ l’amore che irrompe nei miei pensieri più belli.
E’ l’amore che ci dona una irreale dimensione.
E’ l’amore che mi fa apparire roseo il Creato.
L’amore mi fa dimenticare come è realmente il mondo.
E’ l’amore che mi fa credere che nessuno mai sarà come te al mondo.
E’ amore quando hai scritto dietro la foto, dove sono ritratta in un giardino, “the flower among the flowers “.
Ma l’amore è anche tanto altro.
Come recita il poeta, l’amore è un dolce, ingannevole veleno mandato da Dio sulla terra per pietà degli uomini.
L’amore non è come il nostro cuore che batte ininterrotto finché c’è vita.
L’amore è simile ad un alito di vento; può essere zefiro gentile ma anche un impetuoso maestrale che illude, inganna, tradisce, mente, annulla.
Non dimentichiamo che la vita dell’uomo ha una fine ma, per me, l’amore in tutte le sue infinite forme è pur sempre un meraviglioso sentimento dell’anima che non si estinguerà mai e vivrà per sempre nell’infinito firmamento.

C'ERA UNA VOLTA IN AMERICA

Pur avendo visionato diversi film western del grande regista Sergio Leone non ne conoscevo la vita. Quando però ho assistito al film  C’era una volta in America, da lui prodotto, mi sono documentata. Ho appreso che è stato definito un regista della cinematografia di fama mondiale , dai molti importanti riconoscimenti, dai prestigiosi premi ricevuti, le attestazioni di stima nei suoi confronti e aggiungo che mi ha rivelato l’animo dei suoi personaggi. 

Ricordo una sequenza del film C’era una volta in America che è stata per me così particolare da apparirmi irreale.

Nel retro bottega di un’osteria fumosa e maleodorante, ove ci sono vettovaglie sparse alla rinfusa,  una giovane fanciulla in candida veste di un tutù, danza e volteggia sulle note di Amapola.  Non è dolce il suo viso, denota indifferenza per ciò che la circonda. Si sente un’étoile, non è questo il suo mondo. Alla scena così raffinata e inconsueta, prodotta dalla sensibile intelligenza del regista, la mia mente vagheggia: i miei occhi non vedono più quel luogo angusto ma all’improvviso  mi appare un prestigioso teatro dalle luci soffuse, sul cui palco danza sulle punte una fanciulla alla dolce e sensuale musica della canzone di Amapola. Ella si accorge del ragazzo, amico del fratello, che la osserva ammirato da uno spioncino; lo apostrofa con disprezzo dandogli dello straccione; non è degno di lei. Ad alterne vicende, scorrono gli anni in quel continente.

Quel ragazzo è ora un giovane uomo, bello, vestito alla moda, ottima posizione anche se di dubbia moralità, attorniato dagli amici di sempre che sono anche suoi soci.  Rivede la fanciulla, ora giovane donna raffinata e sempre sicura di sé che non disdegna la sua compagnia e incede leggera al suo fianco. La invita a cena in un noto ristorante e alla fine ballano quando l’orchestra suona Amapola, rinnovando in lui un lontano ricordo di lei.

In macchina, mentre l’accompagna a casa, lo illude con qualche semplice effusione ma nulla più. Il suo ego ha l’imprimatur su di lei sin dalla nascita; non conosce l’amore  dell’anima che ci porta in un’altra felice dimensione; non si concederà mai.

Il giovane uomo, dopo tanta attesa, sente più forte che mai il desiderio di quell’amore deriso, rifiutato, sognato, invocato, sofferto e mai spento e come per primordiale istinto e supremo desiderio, cerca il suo amplesso e per pochi attimi, contro la sua volontà, la fa sua. Non sarà mai perdonato e a lui rimarrà solo il ricordo di lei per tutta la vita.

Ricorderò sempre questo importante film prodotto da un regista di grande, infinita genialità che ha donato agli spettatori una grande magia ed una splendida poesia.

(
Jennifer Connelly ha debuttato nel cult del 1984 C'era una volta in America di Sergio Leone nella parte della giovane Deborah)

LA TUA ANIMA

Nel vivere quotidiano ho sempre presente ciò che tu, inconsapevole, mi hai donato: la tua anima. Ci conoscemmo molto giovani; notai subito il tuo portamento, il tuo bel viso a volte offuscato da un po’ di malinconia. La gentilezza verso di me, ma nel contempo la fermezza del tuo carattere, è stato naturale che per entrambi nascesse un puro sentimento. Ricordo le domeniche pomeriggio, l’unico svago a noi concesso, perché anche io lavoravo, le passeggiate sulle colline toscane, quell’aria invitante al sereno riposo. 

Sdraiati sull’erba si osservava l’incanto infinito del cielo e a volte sussurravi quella melodia, forse di Chopin? Con l’andare del tempo, la nostra conversazione si fece più personale. Mi confidavi che nel penultimo anno (1944) di guerra (tu eri un ragazzino) a Firenze arrivavano poche derrate alimentari per sfamare la popolazione. Spesso prima di dormire ingurgitavi acqua per soddisfare lo stomaco. A quel tempo io abitavo in Veneto ed essendo la mia, una cittadina a conduzione agricola non è mancato quasi a nessuno lo stretto necessario. Finita la guerra ti sei diplomato perito commerciale ma i datori di lavoro di allora assumevano più volentieri i ragionieri. Iscritto a ragioneria frequentavi la scuola serale da studente lavoratore ed è impensabile che per tre anni tu abbia dovuto studiare il latino, materia degli studi classici. Furono anni per te di duro sacrificio. Nel ’68-70 la classe operaia insorse con scioperi e manifestazioni per i propri diritti, gli studenti occuparono le Università e anche i docenti si ribellarono dando a tutti il sei politico. Intervenne la polizia di Stato con forti repressioni finché fu fatta una certa riforma, ma a tutt’oggi la scuola non è ancora all’altezza di uno Stato Sovrano. Ti eri anche iscritto a Scienze Politiche con ottimi risultati ma a metà percorso abbandonasti, dovendo per lavoro girare tutta Europa. Terminato il percorso lavorativo non ti sei mai fermato; hai continuato lo studio della filatelia, della musica classica, la storia e infine l’astronomia. Da te ho imparato, ti ho ammirato ma ero un po’ gelosa del tuo talento. Oggi sono del tutto consapevole del tuo sapere. Come si suol dire, certi personaggi non appartengono a questo mondo. Sanno affrontare con sacrificio le più dure prove, hanno la grande umiltà di non sentirsi mai superiori ai propri simili, hanno donato e donano al mondo il bello ed il buono che non si dimentica mai. Tu appartieni a questi esseri superiori ed ora più si allontana il tuo non ritorno più ti sento vicino. Quando arriverà il mio momento (per tutti inevitabile) mi auguro che le nostre anime saliranno nella volta celeste per ammirare il Creato e lo splendore delle stelle.

QUANDO LA STORIA E' FORIERA DI VERITA'

Era il 1940 quando Mussolini, affiancato dal Re Vittorio Emanuele III, pensò bene, assetato di potere, di dichiarare guerra alla Grecia con la sua storica frase: “Spezzeremo le reni alla Grecia!” inviando una parte dell’esercito dei nostri soldati.
L’invasione non fu facile poiché il popolo greco cercò di difendere in tutti i modi la propria patria.
Mussolini, vedendo che con il tempo nulla si risolveva, chiese a Hitler di aiutarlo mandando una parte dell’esercito tedesco in aiuto dell’Italia.
La guerra continuava, ed era il 1943 quando i partigiani greci uccisero nove dei nostri soldati.
Di rimando il comando italiano, capitanato dal Generale Cesare Benelli, circondò il villaggio greco Domenikon, incendiò tutte le case, razziò quel poco che avevano e rastrellò i contadini dai 14 sino agli 80 anni.
La cosa che sorprenderà molti è accaduta; il capo del comando tedesco invitò alla moderazione il comando italiano e di avere pietà per quella povera gente.
Fu tutto inutile, furono tutti fatti salire sui camion militari e, verso sera, portati in una vicina radura.
Sino all’alba si udirono i colpi di fucile, finché circa 150 esseri umani non furono uccisi!
Questo vergognoso episodio italiano si è cercato di nasconderlo dopo la guerra per salvare molti ufficiali italiani, autori della strage.
La Grecia ha cercato in tutti i modi di avere un giusto processo dall’Italia ma credo che ancora non abbiano avuto giustizia.
È bene dire che durante la guerra molti ci sono stati di questi episodi, a tutt’oggi quasi tutti sono venuti alla luce e risarciti.
In televisione molti storici non menzionano quanto accaduto ed io ringrazio colui che, nel quarto d’ora dopo il telegiornale, parla di questa storia (era domenica 21 agosto 2021) ed ha informato gli italiani.
Molto avrei da dire in proposito ma alzo gli occhi al cielo con il cuore affranto perché credo fermamente nella giustizia Divina. 

ERA IL 1944

Ti ho vista per caso città di Firenze, in una televisione privata.
Del programma di cui parlo, devo ringraziare colui che lo ha prodotto in modo così veritiero da rimanere un documento storico.
Per la prima volta vedo una città così devastata, inerme, ferita, offesa.
Sono impietrita vedendo cumuli di macerie nel centro storico e dintorni, ponti che saltano in aria (solo il ponte vecchio è illeso). La popolazione e’ allo stremo; centinaia di persone rifugiate in palazzo Pitti, residenze dei reali nell’Ottocento, quando Firenze era capitale d’Italia.
Sparatorie da entrambe le parti e gli americani, “come sono soliti fare”, si accaniscono a bombardare.
Anche la Leopolda, prima stazione dell’800 non e’ risparmiata pensando a loro modo di vedere, che i tedeschi fossero lì ancora asserragliati.
Mancano l’acqua e la luce in molte zone della città.
Tutto ciò accadeva sino all’estate del ’44 e poi tutto termina con l’entrata degli alleati in città.
Io non abitavo a Firenze in quel brutto periodo ma con l’aiuto di tutti la città è tornata bella come sempre.
Però purtroppo nel novembre del ’66 è avvenuta la tragedia dell’alluvione.
La città e’ allagata con distruzione e morte.
Io abitavo a Firenze ed ho assistito a tutto ciò.
Tutto il mondo però ha contribuito alla sua rinascita compresi “gli angeli del fango”, ragazzi venuti da ogni parte della terra.
Firenze è così rinata nel suo antico splendore.
Oggi, che ti vedo bella come sempre, mi sovvien pensare che nelle mie liriche non ti nomino mai. 
Allora come per farmi perdonare da questa splendida città che mi ha dato tanto, mi volgo a lei con la frase del grande drammaturgo William Shakespeare: “Non t’ama colui che amar ti dice, ma colui che ti guarda e tace!”.

AD ORIANA FALLACI

Ho letto i tuoi libri: Oriana intervista Oriana e Lettera ad un bambino mai nato. 
Nel primo libro ti intervisti e racconti la tua vita così intensamente vissuta, nel secondo riveli i tuoi più intimi segreti ed allora mi prendi l’animo. 
Ammiro il carattere toscano dalla forte tempra, la tua grande cultura, sei libera da ogni schema mentale, ami la libertà in modo assoluto anche se questa parola è solo un’utopia poiché in fondo siamo sempre soggetti ad altri esseri umani e questo, anche tu lo confermi. Però a mio parere e non solo, i toscani a Firenze si avvalgono della grandezza degli illustri avi senza esserne all’altezza poiché dall’antico retaggio non si sfugge se la radice imperfetta non viene modificata nel tempo. 
Giornalista di grande spessore, corrispondente di guerra, inviata speciale nelle guerre di tutto il mondo. Hai raccontato la storia di chi vive la guerra. Ferita seriamente in Messico e ritrovata sotto un mucchio di cadaveri. La tua anima pura moriva di dolore nell’assistere a tanta ingiustizie ed atrocità. 
La tua impagabile filosofia è dettata da una fervida mente ed una grande cultura. Hai intervistato molti grandi della Terra ma non condivido del tutto le tue idee riguardo la politica americana. Non mi addentro a parlare degli americani con cui ho convissuto per molti anni. 
I tuoi innumerevoli importanti libri rimarranno per sempre un punto fermo dell’Editoria mondiale. Sei stata e rimarrai per sempre la degna figlia della città di Firenze anche se ancora questa città non ha intitolato una piazza o strada a tuo nome. Leggendo poi il libro ad un bambino mai nato, mi colpisce subito il dialogo che inizi con il piccolo appena concepito. 
Quale madre mette sulla parete la sua prima ecografia? 
Lo definisci un fiore misterioso simile ad un’orchidea. Io stessa cercavo di proteggere il figlio con una buona condotta ma forse per la giovane età solo quello sapevo fare. 
Tu dialoghi con lui sin dal primo istante del concepimento: ti irriti per quanto accaduto. Hai la tua vita, il tuo lavoro, la tua libertà. 
Passano i giorni, il dialogo si fa più intenso, gli parli del tuo lavoro, dei tuoi viaggi, gli chiedi se sarebbe felice di averti come mamma. La sera quando ti corichi lo senti accanto, al mattino lo saluti, gli parli delle poche gioie, dei tuoi dolori e gli dici che quando verrà al mondo avrà la sua libertà. Gli confidi che non ci sarà un padre e che solo tu penserai a lui. Ora non sei più sola, hai il tuo compagno di viaggio. Purtroppo al terzo mese di gestazione l’esserino ti ha lasciata. Speravi che quel viaggio di lavoro andasse a buon fine ma il tuo corpo già provato non ha retto. Però il dialogo con la tua creatura non si è fermato, ti scusi con lui, la tua sofferenza è grande e lo vorresti per sempre sotto la magnolia della tua fanciullezza. Per me sei stata una madre oltre ogni dire, che ha creduto alla vita sin dal suo concepimento e di conseguenza all’essere supremo che ci ha generato. 
Oriana, ora che non sei più tra noi sono certa che riposerai finalmente serena accanto al tuo piccolo angelo. 

A VALENTINA

Era la tua culla
quel grembo di donna
ampio e sfatto 
posto in un canto
alla pietà dei passanti.
Tu, piccolo angelo,
eri spesso immersa
in un placido sonno;
il visino di seta
ambrato dal sole.
Quando mi davi la tua piccola mano,
sorridevi serena e mi chiamavi “Francecca”.
E’ trascorso quel tempo,
chissà dove sei ora!
Tutti siamo colpevoli per il tuo modo di vivere
e ti chiedo perdono.
Ora ti immagino fanciulla,
forse tenera madre dal carattere gentile
che avevi sino dalla tenera età.
E con tutta me stessa,
ti auguro di essere sempre felice. 

TU SEI NEL VENTO

Dieci anni trascorsi
non sono, se non un soffio di vento
che scivola sul tempo?
 
Al mattino sereno
ti sento con la brezza
che mi accarezza il viso.
 
Nei meriggi estivi
con il vento caldo
che mi spossa e mi assopisce.
 
Con il vento di maestrale,
quando è tranquillo,
percepisco ancora i nostri respiri
ed il silenzio che tanto amavi.
 
Nell’inverno, il vento
che mi sferza il viso;
mi ricorda il dolore.
 
E tu, essere speciale,
che studiavi le stelle
ora sei figlio delle stelle;
sei nell’aria che respiro,
sei, con me sempre.

L'UOMO DELLA GUERRA

Segui la moltitudine fuggente uomo
della guerra.
Dimesso è il tuo vestire, gli occhi
rassegnati.
Poi ti siedi nella polvere; ti levi
dai piedi le putride fasce.
Ti porgo il mio bacile per immergerti
le membra stanche.
L'acqua è tiepida per non farti di
più soffrire.
Poi ti indosso morbide calze per il grande freddo.
Dopo di te immergo molti piedi: mille
e tanti ancora.
Strappo il pesante velo alle donne
umiliate; vedo nei loro occhi
l'immenso sapore della libertà.
Alle giovani vite riempio le braccia
di libri e giochi;
mi ripaga il loro inimitabile sorriso.
Poi chiudo il video per non più 
vedere, per non più sentire.
Ma ti prego o Signore: lasciami
sognare,
lasciami ancora sperare!

SE L'AMORE è POESIA

Se l'amore è poesia
or che ti son lontana
quanto amore ho per te, terra mia!
 
Tu mi hai nutrito l'anima
all'apparire del primo raggio di sole,
mirando lo splendore delle stelle,
poi, correndo per i tuoi campi assolati.
 
Ho gioito alla lievità della neve,
all'umida, lieve carezza della nebbia,
all'aria pura dei tuoi monti
all'intenso freddo,
allo spossante, inebriante calore.
 
Da te ho avuto gli affetti più cari,
le più celate gioie
e chissà, forse,
quando verrà il grande sonno,
mi donerai un giaciglio,
ed allora, quanto sarà dolce,
se di notte mi veglierà la Luna!

ALLA CITTà DI BRESCIA E ALL'APPENNINO TOSCANO

Ti ho lasciato all’alba stamattina
per la città del Giglio.
E se l’ordine è la bellezza morale delle cose, a me ti sei svelata in quest’ora mattutina!
Percorro le tua strade ampie e levigate,
vedo i tuoi palazzi antichi che hanno un porgersi di signorile riserbo
e che per sapiente intuito
ben s’accostano all’opra moderna.
Dall’alto del tuo colle,
il bel maniero, dalla paciosa, rassicurante mole, ti protegge
e tanto verde tutt’intorno ti incorona.
oggi, come non mai mi appari in perfetta simbiosi con gli abitanti:
che il soverchio patire ed il nobile coraggio d’altri tempi
l’animo ha temprato: schietti ma cordiali, riservati ma disponibili.
Or son da te lontana ospitale città del nord
ma ancor di reminescenze presa.
Odo il treno scandire il suo andar al par del tempo.
Ma ecco che m’appari Appennino dalla multiforme verzura.
Tempo non è ancor per te di ginestra,
ma dai tuoi declivi ne percepisco gli olezzi,
gli aspri profumi del monte a tratti impervio
da apparire selvaggio al Carducci nel suo “sogno d’estate”
che ti amava di struggente amore.
Or però non è più tempo di emozioni;
son giunta alla mèta, riprendo il quotidiano cammino.

CON NOI COME SEMPRE

Tutto è immutato;
finché vita ci sarà nel mondo,
il sole cederà alla notte
e l’umano senza sosta.
varcherà gli infiniti sentieri della vita.
Ma tu dove sei che non ti vedo più!
che dici mai o donna?
Pensati crisalide in un bozzolo dorato
come sognavi nell’età novella.
Acquieta il tuo cuore, riposa la mente e rifletti in pace.
Il suo nobile volto non è forse
impresso nel sembiante del figlio?
E alla figlia non ha donato
la fisicità teutonica della sua fiera stirpe?
Ascolta il silenzio da lui tanto amato,
immerso con l’umiltà dei grandi,
senza dar tempo al tempo,
nella ricerca di tutto ciò che è cultura
nei più disparati campi.
Come obliare le amate “Rosse”
e lo studio di questa singolare filatelia.
Ora riposa sereno guerriero dell’intelletto;
ammiro con riverente timore
tutto ciò che hai costruito ed amato.
Ed ora mi è tutto chiaro: non ci lascerai mai soli
ed io ti vedrò come sempre con gli occhi dell’anima.

L'ALPINO DELLA JULIA

L’urlo lacera il silenzio della notte:
conscia della sua sorte è della madre l’immane dolore.
A Lei l’ultimo abbraccio, a noi piccoli il suo ultimo
sorriso.
Il tuo destino fu la Grecia, giovane alpino della Julia;
ti accompagnava l’entusiasmo della giovinezza,
la generosità del tuo nobile animo,
la grandezza della tua umiltà.
Ed io, testimone inconsapevole,
racchiusi nel mio piccolo cuore,
lacrime, speranze, illusioni di una madre affranta.
E quella terra allora nemica capì il tuo valore;
ti volle per sempre e ti regalò un giaciglio per il lungo sonno.
E tu, biondo eroe di Wagneriana memoria,
aiuta a rinnovare in tanti giovani gli ideali sopiti.
Ci regali il tuo sorriso dalle alte, eburnee vette,
il tuo azzurro sguardo è nel limpido cielo,
la tua allegria nelle riunioni dei compagni,
la tua fierezza nell’appartenere al glorioso corpo della Julia.
Onore a te giovane leale, spirito puro, d’antico retaggio,
nobile figlio di Vittorio Veneto.

TERRA NATIA

Per naturale retaggio, ad ogni novello tempo,
il pensiero corre alla terra delle mie radici.
Agli ameni colli toscani,
s’impongono le severe cime venete.
Terso ed impetuoso mi riceve il Meschio,
con la coltre gialla dei suoi argini;
testimone di infinite scene di quotidiano vivere,
ove la mia anima pura,
si nutriva di immateriale nettare.
Oh campagna mia assolata e l’infinito frinire di cicale!
Corse avide di profumi e sapori incontro al sole.
Zolle sopite, neve eburnea, di notte, come la luna, color dell’opale.
Essenza della vita, captata nel buio, puntini di spillo
Affamati come pargoli, solerti mandibole nutrite dai gelsi, amorevoli nutrici,
Quanta felicità in quei pochi fili essiccati d’erba sottratti al villico
per nutrire l’asinello di San Nicola”
E tu dove sei giovane amica dai ridenti occhi neri?
Arrampicate sugli alberi, com’erano vermiglie le nostre bocche,
baciate dai succosi frutti!
Ed è musica riudire il gioioso vocio di noi fanciulli
ed il chiacchierio delle mie donnette al borgo!
Or che memoria m’impone, ho ricordato
si cheta l’esser mio e pian piano,
chiudo lo scrigno e lo ripongo nel mio cuore.

LA NEVE

Ti annunci con l’aria frizzantina,
profumata dal legno bruciato nei camini.
Il cielo gravido ti libera
e tu scendi sulla terra con lievità di piuma,
come ballerina dagli asimmetrici volteggi.
Sei architetto geniale d’eccelsa fantasia,
sei Circe ammaliatrice che ridoni all’uomo l’età novella.
La tua purezza nelle notti di Luna
rende il Creato di ineguagliabile incanto.
Sempre, al tuo apparire, riaffiora il ricordo,
(quasi parvenza ormai),
di tre testine bionde con le gote purpuree,
quel rincorrer gli uccelletti sulla neve,
carezzando con i loro piedini il tuo vellutato candore.
Poi, come ad ogni cosa bella arriva l’ora dell’addio
e in silenzio te ne vai.
Ma è forse pianto il tuo mentre ti sciogli al sole?

NEL GIARDINO DI UNA VILLA MEDICEA

Quando ride la primavera
odoro la soavissima rosa, il mughetto gentile
ed è sì dolce il loco
che la mente spazia in assorta meraviglia.
 
Nell’estate generosa,
le opulente piante da frutto,
paiono matrone paghe della loro prole.
 
L’autunno pensoso
smorza la tonalità delle foglie,
che poi regala al vento e sfuma la natura
con tenui pennellate di colore.
 
Il severo inverno,
a volte sussurra, a volte grida
alle sue creature:
dormite! A lungo dormite!
Ché poi viene il tempo del dolce risveglio.
 
In questa naturale bellezza,
una fanciulla dal puro sembiante di Madonna,
incede leggera tra i suoi simili,
inconscia di tanta natura,
e allorché scende la silente notte
ed il mistero avvolge l’ammaliato sito,
mi è dolce sognare: mi piace vedere Lorenzo il Magnifico,
di questi luoghi nativo,
che varca il giardino incantato.


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